Tabarez

diGIANFRANCO GIUBILO E così la notte di Buenos Aires ha consegnato agli archivi anche questa edizione della più antica manifestazione calcistica del mondo, quella Copa America che, nata nel 1916, ha celebrato un Uruguay non soltanto campione, ma anche primatista assoluto, con le sue quindici vittorie. Superata anche l'Argentina, padrona di casa crudelmente delusa, una sorta di nemesi dopo che in quella stessa veste aveva usurpato la Coppa del Mondo del '78, i generali assassini a festeggiare in tribuna un trionfo propiziato da una scandalosa conduzione di gara: interprete, purtroppo, l'italiano Gonella.Una finale tutta platense, anche se ne era stata esclusa proprio la protagonista più attesa: spettacolare, alla resa dei conti, oltre ogni speranza, c'era da temere che la presenza del Paraguay, all'atto conclusivo senza avere mai vinto, costringesse all'ennesimo pianto greco del catenaccione gigante. Onore dunque alla «celeste» che da Montevideo aveva attraversato il Rio de La Plata, lasciandosi guidare per mano da uno splendido timoniere come Oscar Washington Tabarez. Anche gli sconfitti, che avevano impostato una cruda battaglia esasperando oltre il lecito i toni agonistici, si sono doverosamente inchinati al gran signore che sedeva sulla panchina nemica. Del restoTabarez, nei momenti felici e anche in quelli meno ricchi di gloria. si era sempre imposto, nel mondo del calcio, per eleganza e straordinaria educazione. Lo portano ancora nel cuore i tifosi del Cagliari, che pure nella storia avevano celebrato il loro straordinario filosofo, Manlio Scopigno, capace di portare nell'isola uno scudetto legittimato, senza sminuire altri apporti significativi, da quell'autentico fenomeno che era stato Gigi Riva, talvolta sottovalutato dalla critica meno attenta. Pochi sorrisi aveva regalato invece l'altra esperienza italiana, quella sulla panchina del Milan, senza per altro che il credito di stima guadagnato dal «maestro», fosse minimamente intaccato. Forse è stato anche un omaggio alla sua personalità il trofeo del «Fair Play» consegnato agli uruguagi, che pure talvolta si erano adeguati quando gli avversari di turno avevano deciso di picchiare come fabbri. E soltanto gli zelanti meno romantici hanno sospettato che l'omaggio allo spirito sportivo non potesse essere assegnato a una squadra assente da Buenos Ayres nella serata della finale. A chi ha avuto la fortuna di conoscerlo di persona, l'esito della Copa America ha consentito di condividere con il popolo uruguagio l'immensa gioia di questo piccolo Paese che ha fatto la storia del calcio: dal primo mondiale vinto all'impresa del Maracanà, i brasiliani suicidi e, purtroppo, non soltanto metaforicamente. Ora Tabarez dovrà far valere tutte quelle doti che gli hanno assicurato l'unanime riconoscimento del titolo di maestro, soprattutto per lavorare sulla testa del suo giocatore più dotato, quel Suarez che talvolta mortifica il suo straordinario talento con atteggiamenti sconcertanti: e questo nonostante le esperienze preziose, in quel senso, prima nell'Ajax e poi nel Liverpool. Ma forse Tabarez riuscirebbe a restituire la ragione perfino a un irresponsabile del calibro di Mario Balotelli. Ho già detto come la Copa abbia rivestito un ruolo di calmiere sul mercato, campioni con proibitivi cartellini dei prezzi ridimensionati dalle deludenti prove sul campo. Va però anche sottolineata, in positivo, la nota relativa agli arbitraggi, terne tutte all'altezza dell'importanza della competizione, giudici di gara apprezzabilmente sereni anche di fronte a ben poco edificabili escandescenze. Qualche zuffa nel dopo partita non inficia la regolarità del bilancio conclusivo.