L'uomo dei Giochi

Èstato satrapo dello sport mondiale per oltre venti anni, da quando salì al vertice del Comitato olimpico internazionale nel congresso officiato a Mosca in coincidenza con la disputa della ventiduesima edizione dei Giochi. Fu una coincidenza, che la sua ascesa alla massima carica del CIO avvenisse nella Capitale che lo aveva visto in precedenza ambasciatore di una Spagna prossima a vivere le ultime stagioni del regime di Francisco Franco e, con esse, il passaggio indolore nelle mani di Juan Carlos di Borbone. Juan Antonio Samaranch resse l'incarico fino al 2001, vivendo in diretta il boicottaggio olimpico dell'80, decretato dagli Stati Uniti e da altri Paesi occidentali avverso l'invasione sovietica in Afghanistan. E poi, quattro anni dopo, quello, di rivalsa, adottato dall'Unione Sovietica e da altri regimi comunisti nei confronti dei Giochi organizzati nell'americana Los Angeles, a nulla servendogli i contatti privilegiati tenuti fino a qualche stagione prima con il potere moscovita. Un merito, nella sua lunga permanenza nella principesca sede di Losanna, va assegnato al dirigente catalano: aver gettato alle ortiche l'anacronistica ed ottusa retorica dilettantistica, aprendo le frontiere dello sport olimpico al professionismo a partire dall'edizione di Barcellona del 1992. Altro merito, ma limitatamente ai vantaggi procurati all'esosità dei crediti olimpici depositati nelle casse svizzere, aver ampliato in misura esponenziale le aperture alle potenti multinazionali ed ai mercati televisivi legati a filo doppio con l'evento quadriennale. In quell'opera, il dirigente fu adeguatamente sostenuto e sollecitato dalle Federazioni internazionali, non più disponibili a raccogliere solo le briciole di un raccolto della cui crescita sono da sempre prime e dirette responsabili. Per il resto, indossando l'abito da sera anche nelle situazioni più complicate e imbarazzanti, Samaranch fece largo uso di disinvoltura, sia facendo lievitare in misure discutibili il programma agonistico olimpico, sia mettendo mano in ritardo, in presenza di una palese, reiterata e denunciata corruttela ai vertici del CIO, all'opera di ripulitura dell'organismo internazionale. Anche rispetto alla piaga dello sport moderno, il doping, il suo atteggiamento fu sovente equivoco. Fece scandalo, a tale riguardo, una sua improvvida interpretazione della materia, quando, venendo meno al suo ruolo teorico di primo difensore dell'etica sportiva e del fair play, ebbe a dire come possa e debba essere dichiarata doping solo l'assunzione di sostanze nocive alla salute. Assegnando in tal modo la patente di innocenza a quanti, ad ogni livello, atleti giovani e meno giovani, tecnici, medici e dirigenti, operano quotidianamente, nell'anonimato dei laboratori e nei torbidi intrugli delle provette, alla mistificazione della pratica sportiva.