Sarebbe impietoso, ma soprattutto ingiusto ricordare adesso che Carlo Ancelotti ha già vinto quattro gare da allenatore del Chelsea, mentre il Milan ne ha presi quattro dall'Inter.

Giustissimo.Un atteggiamento saggio. Tuttavia, nelle pieghe di un club che cerca fortissimamente di rientrare nel giro di quelli che vincono, tante, troppe sono le incongruenze. Intanto la squadra. Ha recuperato due centrali coi fiocchi - Nesta e il bravo Thiago Silva - ma nei momenti cruciali sono precipitati nell'anonimato. Sui fianchi, poi, un disastro. Il centrocampo ha retto per un po', ma s'è sfarinato in modo quanto meno sospetto. Ritardo di condizione? O piuttosto limiti strutturali? Ed eccoci al punto cruciale: un Ronaldinho così serve a qualcuno? Sì, agli avversari. È vero, Berlusconi ne è innamorato. Lo attende da un anno e mezzo e a parte qualche acuto, per ora delle treccine brasiliane più famose del mondo, nessuna notizia. Farlo giocare col Siena ha un senso: a Dinho, se gli concedi due metri, sei fregato. Gioca da fermo e coi piedi fa quello che vuole. Tuttavia Mourinho avrà pure 1000 difetti, che non sono pochi, ma sa di calcio e in certe trappole non ci cade. A dire il vero - e con tutto il rispetto con Giampaolo, allenatore del Siena - non ci cadrebbe neppure Oronzo Canà. Dunque, mordacchia a Ronaldinho e tanti saluti a tutti quanti. Pato s'è dato da fare, ma un quarto d'ora è fatto di soli 15 minuti e una partita ne dura 90. Per non parlare poi dalle scenetta deprimente del cambio-non-cambio di Gattuso. Può capitare al campionato dei bar - ma nemmeno lì a pensarci bene - che uno stia in panchina senza maglia. Ma che allenatore e team manager non sollecitino una sostituzione annunciatissima, anzi, richiesta, è davvero troppo. Che poi Gattuso abbia sbagliato due volte - rigore e fallo su Snejder - non ci piove. Ed introduce un altro segnale per niente buono per i rossoneri: lui è il capitano ed anche in simbolo di questo Milan che tiene in panchina uno come Inzaghi per far posto al brasiliano semovente. Se Gattuso cede - fisicamente, ma soprattutto mentalmente - c'è davvero poco da stare allegri. Per carità: condivisibili le parole di Galliani dopo Siena: «Non siamo fenomeni e non siamo nemmeno dei brocchi». Sacrosanto. Ma una squadra molto normale, sì. Con un equivoco brasiliano che Leonardo e Berlusconi dovranno chiarire in fretta. Altrimenti questa stagione rossonera sarà difficilmente quella di una rinascita, dopo la lunga «dominanza» interista.