Se gli schemi contano più del bon-ton

Per l'iracheno si è mosso il mondo dell'informazione (schierata), sostenendo l'impunità dell'iroso collega (che rischia 7 anni) in nome della libertà d'espressione e blabla. Per il montenegrino botte da orbi. Forse perchè la sua professione ha ancora delle regole. Non voglio difendere Vucinic per quei gesti sommamente maleducati, di cattivo gusto il primo, infantile il secondo. Calarsi le braghe è venuto di moda a Catania per quella (doppia) punizione inflitta da Mascara al Torino con la collaborazione di un paio di compagni in barriera, lesti ad abbassarsi le mutandine per impedire la visuale al portiere. Ma lo smutandato alla Vucinic (subito arruolato nel «Cafonal» di Dagospia) l'avevamo visto, per ora, solo nelle scene d'entusiasmo a fine gara, anche se non ci siamo perduti, l'altra sera, l'esplorazione inguinale di Hamsik davanti al medico del Napoli. Non si rischia la moda, pena dure sanzioni (ma i ragazzini, sui campi di periferia, chi li tratterrà dal far prendere aria ai culetti, come dice Totti?) e in ogni caso si potrebbe suggerire agli eventuali imitatori di Mirko d'indossare una seconda mutanda di jeans come usavano - racconta Antonio Barillà in un raccolta di curiosità pallonare - negli anni '20 i giocatori del «Cassino Qui Contra Nos?». Avevano anticipato il «Chi mi ama mi segua» di Oliviero Toscani e la pubblicità della Nuova Unità. Ancor più grave è stato giudicato da media e addetti ai lavori il gesto «del tagliagole». (In un sito della Lazio s'invoca addirittura «una pena esemplare» che non vorremmo ispirata dalla Legge del Taglione). Un gesto già visto sui campi di calcio e importato da un altro sport, il wrestling, notoriamente ricco dal punto di vista gestuale; una mossa - vien da dire - immortale: era infatti l'atto conclusivo delle esibizioni di Chris Benoit, un famoso lottatore 40enne morto suicida un anno fa dopo avere strangolato la moglie. Entrambe le discutibili azioni rivelano l'immaturità - più che la protervia - di certi giocatori e anche l'incuria dei loro maestri, impegnatissimi a insegnare schemi complicati, mosse fantasiose ma non fair play e bon ton. Ricordo che ci provò, una volta, quel gentiluomo di Fulvio Bernardini, che alla fine dei '70 introdusse il bridge nei ritiri della Nazionale. Durò poco, la sua milizia azzurra, con grande sollievo dei calciatori. Che subito ripresero a giocare a rubamazzo e ciapanò.