Alessandro Austini a.austini@iltempo.it La Bestia ha ...

Una dote non proprio comune fra i calciatori. Il soprannome gli piace, ma vuole delle rassicurazioni. «Hanno iniziato a chiamarmi "Bestia" a Siviglia - ci racconta il brasiliano della Roma - poi si è fatta un po' di confusione su questo nomignolo. In spagnolo ha un'accezione negativa: vuol dire la "brutta", come nel film la Bella e la Bestia. A proposito, che significa in italiano?» Un animale - gli spieghiamo - ma nel senso buono del termine. «Meno male - prosegue rinfrancato Baptista - per me è importante saperlo. In Brasile, ad esempio, lo hanno tradotto male: qualcuno mi ha chiamato "besta", che in portoghese significa idiota, imbecille. Quindi ci tengo a specificare...». Soprannome a parte, a Roma abbiamo già conosciuto il vero Baptista? «C'è sempre qualcosa da migliorare, ma è tutta la Roma che sta crescendo e i singoli lo fanno di pari passo». Tornare a fare il trequartista è stata una svolta per lei? «Sì, fondamentale, perché giocare lì è la cosa che mi viene più naturale. Al contrario, quando giochi in una posizione non tua ne risente anche il contributo che riesci a dare alla squadra». Come è successo quando Spalletti la impiegava da esterno sinistro? «Non lo avevo mai fatto nella mia carriera. Per cambiare non c'è stato neanche bisogno di parlarne con l'allenatore: gli è venuto naturale spostarmi, si è visto chiaramente che quella non era la mia posizione e che appena l'ho cambiata ho reso di più». Il gol nel derby la ha sbloccata? «Fino a quella sera avevo giocato poco per via degli infortuni. È stato importante per conquistare la fiducia dell'ambiente: da allora il mio rapporto con i tifosi è cambiato». Come è rinata la Roma? «Recuperando tutti i giocatori infortunati. Quando sono arrivato c'erano otto titolari fermi: una cosa mai vista in vita mia». Voi brasiliani state sempre insieme. Così non rischiate di isolarvi dal resto della squadra? «L'importante è avere intesa durante le partite e gli allenamenti. Qui ho trovato uno spogliatoio molto unito rispetto ad altri che ho frequentato in passato. Non importa quello che fai fuori dal campo nella vita di tutti i giorni. Si può andare d'accordo con uno o con un altro e non ci si deve forzare a stare tutti insieme». Tra i suoi connazionali qualcuno le sta insegnando l'italiano? «Nessuno perché non lo sanno! Sono l'unico che sto pensando di studiarlo, così poi posso insegnarlo a Cicinho. Scherzi a parte, Doni lo parla benino, come Taddei e Julio Sergio». Quale deve essere il vostro obiettivo in campionato? «La cosa più importante è pensare partita dopo partita. È inutile adesso fare ragionamenti profondi sui nostri traguardi. Abbiamo iniziato male, ora stiamo recuperando e andiamo avanti». Lo scudetto è già dell'Inter? «È una squadra molto forte che non sbaglia un colpo e ha grandi possibilità di vincerlo». Differenze dal campionato spagnolo? «Sono due filosofie di calcio completamente diverse. In Italia si pensa molto alla tattica, ma non lo trovo un campionato più difficile rispetto alla Liga. Anche gli allenamenti sono differenti: qui si lavora molto di più». I tanti infortuni muscolari della Roma sono una conseguenza? «No, nel calcio possono capitare. Poi, se sei predisposto è più facile farsi male». I campi di Trigoria in che condizioni sono? «In questi giorni di pioggia è praticamente impossibile lavorarci. Ma non abbiamo altre scelte». Schuster è stato licenziato dal Real. Giusto così? «La vita degli allenatori è questa, se non vincono ci rimettono il posto. Su Schuster posso dire che pur non giocando male mi sostituiva sempre per primo. Ho lasciato Madrid per questo. C'è dell'altro che preferisco non dire, ormai è il passato, non ne voglio più parlare». Le piacerebbe prendersi la rivincita in Champions? «Non mi interessa chi dovremo affrontare. L'importante è essere arrivati agli ottavi e farsi trovare pronti contro qualsiasi avversario. Adesso sarebbe un'idiozia scegliere una squadra: le sedici qualificate sono tutte forti». Come si lavora con Spalletti? «È un allenatore che bada molto la tattica e sta attento ai minimi particolari. Direi che è quasi "maniacale"». Con voi brasiliani come riesce a comunicare? «Non parla portoghese, ma ogni tanto, quando siamo in gruppo, si avvicina a noi e ci fa: che state dicendo?» Il tecnico più importante per la sua carriera? «Caparros a Siviglia mi ha aiutato a crescere calcisticamente. Grazie a lui sono diventato un giocatore conosciuto in tutta Europa. Devo ringraziare anche Arrigo Sacchi che mi ha voluto a Madrid: una persona eccezionale. Poi Wenger, grandissimo tecnico. Ha qualcosa di simile a Spalletti che però è più "esplosivo"». Ci parli delle sue passioni: musica e golf. «È vero, sono un bravo cantante ma solo per gli amici. A Roma purtroppo non sono ancora riuscito a giocare a golf perché piove sempre... Fuori dal campo sono una persona tranquilla, tutt'altro che una "Bestia". Passo molto tempo a casa. Nelle poche uscite che mi concedo mi piace andare al cinema o al ristorante con gli amici. Ma devo stare attento: qui si mangia troppo bene e rischio di diventare un "gordo" (grasso, ndr)». Più bella Roma o Madrid? «Sono diverse e ognuna ha il suo "incanto". Roma sto iniziando pian piano a conoscerla: per ora ho visitato i posti più importanti, piazza di Spagna, il Colosseo e San Pietro». E magari ha fatto una preghiera per giocare la finale di Champions il 27 maggio? «Solo Dio sa se ci riusciremo. Dobbiamo fare di tutto, ma in una competizione del genere se vuoi arrivare fino in fondo non puoi permetterti errori. Ora, però, è sbagliato pensare soltanto alla Champions e dimenticare il campionato».