LECCE «Caro Mirko, te ne segniamo sette o otto». Il ...

«Mi dicono così, vediamo: io di certo non subisco», la replica col sorriso del lungo attaccante montenegrino, che poi aggiunge: «Siamo una nazione giovane, una nazionale ancora più giovane, ma come nessun altro giochiamo col cuore, per il nostro paese. Pareggiare ci basterebbe, il che non vuol dire che non possiamo vincere». Venticinque anni, un estro calcistico bizzarro, Vucinic è il giocatore simbolo di una nazionale alla sua prima qualificazione mondiale, che Zoran Filipovic, ex attaccante del Benfica di Eriksson e già secondo di Boskov alla Samp, ha visto «crescere molto in questo anno di lavoro»: l'indipendenza è arrivata nel maggio 2006, il riconoscimento della Fifa nel marzo 2007. E la partita con l'Italia è la prima trasferta ufficiale, dopo due pareggi in casa. Ora Vucinic torna nella sua Lecce, «la città che mi ha cresciuto, dove ho vissuto per sei anni. Lecce, città e società, mi ha dato tanto». Vista l'età media dei suo ragazzi (un solo trentennne, Tanasijevic), poi tutti dai 26 in giù, il ct Filipovic non può che affiancargli il talento nascente del calcio montenegrino, Stevan Jovetic, 19 anni e un volto da putto rinascimentale fiorentino, e dietro la coppia provare a far crescere l'estro dei giovani, tradizionalmente un capitale sicuro per tutte le nazioni dell'ex Jugoslavia. Vucinic pensa anche alla sua Roma. «Vincere con l'Inter sarebbe importantissimo per uscire dal momento difficile: ma non chiedetemi di scegliere tra una vittoria con gli azzurri e una domenica, perché prendo tutte e due. Per fortuna negli azzurri non ci sarà Totti: non devo essere io a spiegare la sua importanza. Ho la fortuna di allenarmi con lui tutti i giorni». Al capitano romanista si ispira Jovetic. «Mi piace il suo cucchiaio, ma se capita un rigore non vi dico come lo batto - le parole del giovane talento della Fiorentina - seguire Prandelli alla Juve se dovesse andare? No, io non mi sento pronto per una grande squadra. E non penso di lasciare Firenze per le tribune che faccio». Eppure oggi c'è l'Italia.