Fair Play

Ogni tanto ne parlo, con molta convinzione ma con sempre minore fiducia ed i lettori di Fair Play le dovrebbero ormai conoscere. Le riassumo comunque ad uso dei più distratti. In ordine di priorità mi piacerebbe un campionato di serie A con 16 squadre e naturalmente con una conclusione ai playoff e con una finale secca che purtroppo abbiamo avuto solo una volta (vittoria del Bologna sull'Inter nel 1964). Mi piacerebbe veder giocare due tempi di 30 minuti effettivi, con arresto del cronometro nei tempi morti in modo che tutte le partite abbiano la stessa reale durata, senza lasciare all'arbitro la discrezionalità di stabilire eventuali recuperi. Vorrei, naturalmente, che i proventi televisivi venissero divisi in parti esattamente uguali tra tutte le protagoniste dello stesso campionato per eliminare, nei limiti del possibile, quelle differenze che ci sarebbero comunque (Milano sarà sempre più ricca di Bologna, Roma di Firenze e così via) e che nello sport professionistico saranno sempre determinanti ma che oggi sono decisive, oltre che ingiuste. Sono anche arrivato a pensare che il campionato sarebbe più bello se non ci fossero le retrocessioni ma mi rendo conto che non potremo mai togliere agli italiani il fascino della promozione ed il dramma della retrocessione. Teniamocele, dunque, correndo il rischio (è successo qualche anno fa) di non avere in serie A sei delle prime dieci città italiane (Napoli, Genova, Firenze, Napoli, Palermo e Bari) con evidenti danni di carattere economico. Gli americani sono più pratici ma loro non hanno la nostra cultura, inoltre sono più ricchi. La novità più clamorosa sarebbe l'abolizione del pareggio. Per quanto mi riguarda è una vecchia idea che inutilmente ho proposto quasi trent'anni fa (poteva essere il 1978) in un dibattito presso la Gazzetta dello Sport e che è improvvisamente tornata di attualità dopo che il presidente della Lega inglese, che rappresenta tutte le squadre ad eccezione di quelle della Premier League, ha deciso di proporla e di sostenerla. Capisco perfettamente come un'ipotesi del genere determini, a seconda del carattere, indignazione o ilarità da parte dei cultori del calcio, soprattutto di quelli che non sanno nemmeno in quanti si gioca a basket. Ci sono sport (il basket, ad esempio) che vivono benissimo senza il pareggio ma il calcio ha vissuto da sempre con il pareggio (quello sul campo, non quello nei bilanci). Nella storia della nostra serie A (quello che stiamo soffrendo è il settantacinquesimo campionato a girone unico) il pareggio si è verificato con una percentuale che varia tra il 28 ed il 30 per cento. Quando nel 1994-95 abbiamo introdotto, con 13 anni di ritardo sugli inglesi, la formula dei tre punti a vittoria (che trasformava il pari da una mezza vittoria in una mezza sconfitta) abbiamo avuto una drastica riduzione dei pareggi ma è durata poco perché poi si è tornati a pareggiare con l'antica frequenza. Ad esempio nelle ultime tre giornate del nostro campionato (30 partite) ci sono stati 14 pareggi e mi sembrano troppi. Aggiungo che uno studio approfondito sugli scandali, scoperti o rimasti nascosti, dimostra che il pareggio è stato alla base di molti accordi e che eliminandolo si rende meno agevole il compito di chi sguazza nel torbido. Faccio notare che proprio gli inglesi, custodi fin troppo testardi della tradizione, sono stai i primi ad aprire al tennis open e che sono stati anche i primi a premiare la vittoria nel calcio. A conti fatti a me sembra che eliminare il pareggio sia una grande idea, probabilmente troppo grande per essere approvata e capita.