di FULVIO STINCHELLI IL SOLE splende, ma non picchia: a mitigarlo un fresco maestralino.

«La Borghe…ché?», è la risposta-domanda del giovane tassinaro. Mi rendo conto: è probabile che se gli avessi chiesto della «Gea World», m'avrebbe condotto senza esitazioni al Vicolo Barberini. I tempi, ahinoi, son quelli che sono, per il nostro povero (ricchissimo) calcio. Spiegato all'automedonte che chiàmasi Borghesiana il più bel centro d'allenamento calcistico d'Europa (ah, i bei tempi della Lodigiani di Malvicini, Borgia e Sagramola!), ch'è sito sulla Prenestina, poco oltre il raccordo anulare, si va. Dove? All'appuntamento con Francesco Rocca, il nuovo trainer dell'Under 19. Per vedere come l'ex Kawasaki lavora. Ma, soprattutto, perché di moggiòpoli ho le scatole piene e mi va di respirare aria di calcio pulito. Trovo Francesco coi suoi ragazzi (25 più due infortunati) sul campo da oltre un'ora. Si gioca e si corre, alla maniera di Rocca: senza tregua. A qualcuno, poco abituato a quei ritmi, viene anche il malditesta. Il mister, pacatamente, spiega: «Ragazzi miei, io predico lavoro, lavoro e ancora lavoro, per il vostro bene. È la vita che vi siete scelti…volete riuscire? Bene, allora dàteci dentro, che altro non vi resta da fare». I ragazzi, tra cui Franceschini, Palermo, Barillà e Okaka (tutti 88/89, beati loro!), mostrano di capire. Tanto che nessuno si lagna per quella faticaccia boia, anche se nei loro club praticano una religione diversa. La religione di Rocca, notoriamente, è quella del suo santo, Francesco: regola, sacrificio e dovere. A taluni non piace, al severo mister sì. Ed è quel che conta, finché non lo cacciano. È importante che i nuovi responsabili federali, come pure i diretti collaboratori del mister, Fabrizio De Iulis e Mauro Piacenti, la condividano. Per ora sembra funzionare. Il primo appuntamento degli Under 19 è a metà settembre, coi parietà di Cipro. Staremo a vedere. Dal canto suo, Rocca non recede d'un pollice: «Dispongo di un bel gruppo, capace di grandi risultati. Se mi dànno retta. Altrimenti, loro torneranno al loro quotidiano trantran ed io ai miei figli e alle "Consolationes" del mio Seneca». Quando Kawasaki parla così, gli altri che l'attorniano, tutti sorridono divertiti. Ma si capisce che condividono il progetto, che ci credono. È già un buon inizio. È ora, consumato un pasto francescano, di tornarmene al mio taxi. Strada facendo, incrocio Stefano Okaka. Il lupacchiotto nigeriano, senza conoscermi, mi saluta con rispetto. «Finalmente un ragazzo ben educato», mi dico. E penso che sarebbe tempo che qualcuno gl'insegnasse a saltare di testa.