di FABRIZIO MARCHETTI UN'ELIMINAZIONE che brucia.

La sconfitta di Praga è solo l'atto terminale d'una Champions avara di soddisfazioni. Nessuna vittoria all'Olimpico, doppia sconfitta con il Chelsea e solo sei gol all'attivo. Poco, troppo poco. Poco per raggiungere gli ottavi, insufficiente, addirittura, per centrare almeno il traguardo minimo. La Coppa Uefa. Il day-after ruota intorno a Mancini, non solo tecnico ma epicentro nevralgico d'una società alla ricerca d'un equilibrio instabile. Le scelte e le parole del tecnico sono lo specchio d'una situazione interna minata dai risultati. «Quelli che sono entrati hanno dato poco», ha precisato l'allenatore dopo la partita con lo Sparta. Ieri è arrivata la risposta di Simone Inzaghi, escluso dalla contesa contro la Juve e tenuto fuori anche nella decisiva sfida con lo Sparta. Dissente, Inzaghino. Un messaggio chiaro, in fondo l'attaccante non ha gradito l'esternazione del tecnico a fine gara, come i compagni subentrati in corso d'opera. La situazione nello spogliatoio aveva già toccato livelli di guardia dopo il ko di Siena, riproponendo un motivo di dissenso emerso quest'estate a Vigo di Fassa. Un tracollo che aveva animato la discussione all'interno e fatto vacillare le certezze di Mancini. L'ex genio blucerchiato aveva richiamato tutti all'ordine, cercando una risposta di compattezza che la squadra gli aveva garantito a Modena e contro la Juventus. Due vittorie che sembravano la panacea di tutti i mali. A Praga s'è riproposto il problema: l'idillio non è più quello di prima. Stavolta con tanto di accuse pubbliche. E dove non arrivano i demeriti può la sfortuna, inesorabile compagna di viaggio. Infortuni a catena, episodi negativi, gol sbagliati, l'imponderabile dietro l'angolo. Mancini è un uomo al comando, ma più solo. Sarà perché manca un azionista di riferimento che coordini e tenga legate le componenti, un personaggio che costituisca un motivo di confronto sempre vivo e attuale, sarà perché il rapporto d'osmosi con la sua banda di pirati vacilla. E poi il mercato, dove non può disporre di libertà d'azione, perché il destino societario è legato a doppio filo a un aumento di capitale ancora da deliberare. Il diggì De Mita ieri l'ha blindato ma con un appunto: «È il nostro fuoriclasse ma non è intoccabile. È sottoposto al giudizio del suo lavoro». Un po' il senso di questa avventura biancoceleste che oggi ha contorni meno nitidi. La Curva gli ha promesso appoggio incondizionato. A lui e alla sua banda. Ora tocca a Mancini. Risollevarsi, d'altronde, è compito da campioni.