UNA VITA SUL FILO DELLA VELOCITÀ

E per molti, Tazio Nuvolari resta e resterà sempre «il più grande di tutti i campioni». Moriva 50 anni fa, l'11 agosto 1953, a 61 anni, la leggenda vivente Nuvolari. Se ne andava, distrutto nel fisico, i polmoni a pezzi per le troppe sigarette e i pestilenziali gas di scarico aspirati, mentre Alberto Ascari, idealmente suo successore, conquistava il secondo titolo iridato con la Ferrari. Da tempo lontano dalle corse per la malattia che gli minava i polmoni, nel '48 il Mantovano Volante, come lo aveva soprannominato Gabriele D'Annunzio, si era ritirato in un convento a Gardone Riviera. Ed era stato qui che Enzo Ferrari lo aveva trovato, e gli aveva offerto la sua auto per la Mille Miglia. Con la spider Ferrari, «Nivola», nonostante alcune uscite di strada, era transitato primo a Roma e a Bologna; al controllo bolognese, a Enzo Ferrari era bastato guardare pilota e auto per capire che non erano in condizioni di continuare. Ma Nuvolari non volle sentire ragioni e continuò. A Reggio Emilia cedette il perno di una balestra e fu il ritiro. «Non avresti dovuto fermarmi», disse, tre mesi prima di morire, Nuvolari a Enzo Ferrari che era andato a trovarlo a Mantova. «Ma la balestra rompendosi avrebbe bucato il serbatoio e la vettura avrebbe preso fuoco», gli rispose Ferrari. «Morire bruciato e per giunta su una tua macchina sarebbe stata una morte da eroe», aveva ribattuto Tazio. Questo era il 'Nivolà: una vita sempre vissuta sul filo della velocità e del rischio. Prima in moto e poi in auto. In moto conquistatò 124 vittorie, e 229 in automobile. Collezionò 16 incidenti con fratture a mani, braccia, gambe, con lesioni agli occhi, al viso e alla colonna vertebrale. Corse e vinse in tutto il mondo. La Mille Miglia nel 30 e nel '33, la Targa Florio nel '32, la Coppa Vanderbilt nel '36 (gli fruttò un premio di 85 mila dollari, cifra da capogiro per quel tempo). Tre vittorie al Nurburgring gli valsero il titolo di «Maestro». A Monza, dove vinse tre GP d'Italia (con l'Alfa Romeo e l'Auto Union) e quattro GP delle Nazioni (con la Bianchi 350), non hanno voluto dedicargli una curva. Però il 2 settembre gli intitoleranno la nuova sala stampa. Nel '50, a 58 anni, mascherina sulla bocca per proteggere i polmoni avvelenati dai gas di scarico, vince il circuito di San Pellegrino. Arriva stremato, rotola fuori dalla vettura, devono soccorrerlo. È la sua ultima corsa. Vivrà altri tre anni, recluso nella casa di Mantova, solo col ricordo dei figli e degli amici perduti. Muore l'11 agosto del '53, cinquant'anni fa.