ascolti in picchiata

Dalla carta stampata alla tv: il flop totale di Giannini

Marco Zonetti

Uno dei flop televisivi più cocenti del 2025 è senz’altro Circo Massimo. In onda sul Nove in prima serata la trasmissione condotta da Massimo Giannini, che egli definiva «un talk per capire senza risse né politici», è partita l’8 ottobre dall’1.5% di share per chiudere il 29 all’1.1%. Preceduta da una presentazione allo 0.9%, battuta dai programmi degli altri otto canali generalisti e superata finanche dai film di 20, RaiMovie e Iris. Un fiasco conclamato sullo stesso canale dove Giannini presenzia ogni domenica nel salottino di Fabio Fazio, uno spazio politicamente corretto volto a insegnarci il pensiero «buono e giusto» sui fatti di attualità, dalle guerre a Garlasco passando per la finanziaria. E dal quale, inutile dirlo, sono bandite le firme di quotidiani che non siano Corriere, Repubblica e Stampa. Un circoletto autoreferenziale riprodotto nella prima puntata di Circo Massimo in cui erano ospiti Fazio e Luciana Littizzetto, con i fantasmagorici ascolti che ci siamo detti. Alla luce dei numeri da prefisso telefonico, la sentenza di Giannini contro la Rai – «Il Servizio Pubblico non brilla quanto a successo soprattutto nelle nuove operazioni televisive» – non può quindi che inserirsi nell’eterna tradizione del bue che dice cornuto all’asino.

Il fiasco di Circo Massimo era facilmente intuibile visti i numeri social dell’omonimo podcast, che su X racimola una ventina di condivisioni quand’è giornata fortunata. Lo stesso X che nel gennaio di quest’anno, in preda a un «delirio anti-Musk» come segnalava Valter Delle Donne sul Secolo D’Italia, Giannini esortava a boicottare. Peccato però che dalla piattaforma del patron di Tesla non si sia minimamente schiodato e vi continui a «twittare» a spron battuto. E dire che in rete risuona ancora l’eco della selva di contumelie piovutagli addosso quando attaccò lo smart working, il cui isolamento secondo lui rischierebbe di creare degli emuli del folle protagonista di Shining. Elogiando le meraviglie del lavoro in presenza Giannini - scopertosi epigono di Fabio Volo - cantava invece le lodi dell’«uscire presto, nelle albe fredde d’inverno» e di «guardare negli occhi i colleghi, compreso quello che detesti». Selvaggia Lucarelli l’aveva giustamente sbeffeggiato e Striscia gli aveva dedicato un puntuale servizio in cui l’inviato Francesco Mazza descriveva la grama vita di 22 milioni di pendolari fra sveglie antelucane, traffico intasato e metropolitane affollate, presentandosi poi sotto la sede delle testate del gruppo Gedi per parlare con Giannini. Il quale non era presente, dando così modo a Mazza di sottolineare la differenza tra il giornalista e i suddetti pendolari: il privilegio di scegliere se lavorare da casa o meno.

  

Tornando alla tv, il buon Massimo era già reduce dal fiasco di Ballarò condotto per due stagioni su Rai3 al posto di Giovanni Floris, per poi vedersi chiudere il programma per ascolti esangui. Una delusione pari a quella sulla carta stampata quando, sicuro di sostituire Ezio Mauro alla guida di Repubblica, si vide preferire Maurizio Molinari. Quella stessa Repubblica in cui poi dovette riparare, non quale direttore bensì da semplice editorialista, allorché gli Elkann gli tolsero anzitempo le redini della Stampa. In ogni modo, fra un intoppo professionale e l’altro, da anni Massimo Giannini imperversa sui giornali o nei talk (spesso bastonato da Marco Travaglio) dispensando moniti, mentre poi l’Italia e il mondo vanno puntualmente nella direzione opposta rispetto alle sue visioni. Che sia dunque opportuna una riflessione?