live a roma

Gazzelle, "il concerto più bello" della sua vita e i 54mila del Circo Massimo: "Mi fermo per un po' ma non lo dimenticherò"

Valentina Bertoli

Nel day after, quello in cui si tirano le somme e si passano al setaccio le sensazioni provate, c’è una verità inoppugnabile che resta a galla e fa da regina: “I concerti dovrebbero iniziare sempre dalla fine”. Lo ha scandito, con la voce un po’ strozzata dall’emozione, Gazzelle, che ieri per la prima volta si è mosso per quasi tre ore sul palco montato nella valle tra il Palatino e l’Aventino. Al Circo Massimo, di fronte ai 54mila che hanno sfidato il primo caldo e gli ingorghi di una Capitale bloccata tra deviazioni ed eventi, il cantautore “partito dal Monk 8 anni fa” ha fatto il grande salto. Ed è impossibile riavvolgere il nastro se non partendo dalla fine, cioè da quando l’artista, come da rito, si è tolto gli occhiali da sole scuri davanti alla folla e ha mostrato i suoi occhi, bagnati dalle lacrime ma pieni di vita. “Non mi va di andare via. Mi fermo per un po’. Questo è stato il concerto più bello della mia vita: non me lo dimenticherò mai e spero che non lo farete neanche voi”, ha detto alla schiera di fan che fedelmente hanno acceso la torcia e omaggiato il 35enne con un prato di luci. Quello che è successo prima, nel grande libro dei concerti romani, è già un capitolo di storia, di un passato indistruttibile.

La serata è iniziata quasi all’improvviso, quando il vento tiepido di una Capitale che si apre all’estate ha accompagnato Gazzelle all’ingresso e poi sul main stage. L’inizio dell’esecuzione di "Punk" a cappella ha risvegliato tutti dal torpore e le piccole sbavature, dovute al tuffo al cuore del popolo raccolto, sono diventate un lontano ricordo quando la musica l’ha raggiunto e le prime, flebili voci si sono alzate. A fare da cornice c’era il nucleo di una città bellissima, che ha da poco indossato l’abito più appariscente: quello della stagione delle brezze e del calore. Alle spalle dell’artista, poi, un gioco di grafica in stile Oasis, il gruppo che è per lui stella polare e muro portante. Tra un “Daje regà” e tanti “Grazie mille”, il concerto ha preso slancio fin da subito con grandi successi come “Meglio così” e “Fottuta canzone”, ma è su “Sbatti” che il pubblico ha avuto il primo, vero sussulto. Tra grumosa nostalgia e voglia di cantare a squarciagola, il cantautore è arrivato quasi alla fine del primo blocco con la carica degli applausi e l’entusiasmo di poter smorzare la tensione con la compagnia di un amico. O forse un fratellino minore. “Fla’, sto qua. Mi hanno detto che ero giusto adesso”: così Fulminacci, artista dello stesso roster, ha fatto irruzione sulla scena e ha catturato l’attenzione di Flavio Bruni Pardini, questo il vero nome del cantautore protagonista. La gag, sulla posizione dell’esibizione in scaletta e sul cappello dell’ospite Filippo Uttinacci con su la scritta “Milano”, ha suscitato la prima risata di pancia e preceduto la performance pensata per “Milioni”. “Vie’ qua Fili, guarda che roba”, ha suggerito Gazzelle al compagno di avventure.

  

 

 

A quel punto è arrivato il momento del medley piano e voce e dei pezzi accompagnati dalle performance da brividi delle musiciste al violino e al violoncello. “Noi no”, “Nero” e “Piango anche io”, tra le altre canzoni della sezione, si sono date il cambio senza scossoni e con una fluidità da brividi. Il sussulto, però, c’è stato presto: con “Zucchero filato”, il pezzo più ballabile del repertorio del cantautore, i presenti hanno ancheggiato senza timore e il terreno, per qualche minuto, ha vibrato. Che la birra presa a inizio serata fosse ormai calda o per terra, è stato un fatto di interesse di pochi. O quasi di nessuno. Soprattutto perché, per incoronare quella Capitale contraddittoria e ammaliante che Gazzelle canta in “Roma”, ha invitato al suo fianco Noyz Narcos. “Fate l’applauso a ‘sto pischelletto, che è un king e se lo merita”, ha detto il rapper che con le sue barre ha sempre descritto e graffiato la città che l’ha partorito. L’ultima parte è stata quella delle dediche e della presa di coscienza. Eccetto qualche iniziativa divertente, come quella dei sondaggi con cui ha cercato di capire da quali segmenti demografici fosse composta la folla, Gazzelle si è visto riflesso nel più terso degli specchi ed è uscito dal bozzolo della timidezza con tre dediche dense di significato. “Mi ha salvato la vita”, ha spiegato della fidanzata, per la quale ha intonato “La prima canzone d’amore”. Un nodo alla gola ha scomodato i più reticenti quando l’artista ha raccontato di come è nata “Coprimi le spalle”, una canzone di matrice autobiografica che tocca corde profonde. “Quando l’ho scritta, ero piccolo. Sono andato da mamma, che stava cucinando, e ho avuto il bisogno forte di fargliela sentire”, ha ammesso, cercando gli occhi della madre tra la gente.

 

Un pezzo, quello scritto tra la camera e la cucina di casa, che poi ha preso il volo e ha riportato tutti al punto di partenza, al primo tratto del tracciato che ha condotto Flavio Bruni Pardini al Circo Massimo. L’indie, quando Gazzelle strimpellava nei club, appariva al grande pubblico una corrente fuori schema. Poi la musica indipendente si è trasformata in un fenomeno e lui, il tipo di Roma Nord con il nome da band, ne è diventato un punto di riferimento. Ai tempi del Monk Gazzelle avrebbe fatto carte false per trovarsi dove ieri ha incantato e si è fatto incantare, ma “le cose”, come scrive in “Stammi bene”, bisogna lasciarle fare alla vita. Ai 54mila che hanno scelto di esserci ha riservato un brano che si carica ed esplode sul ritornello: è in “Tutta la vita”, infatti, che il 35enne ha trovato il bandolo della matassa. “Voglio dedicarla a voi, sperando che vi faccia bene come ha fatto bene a me”, ha confessato. Il rush finale, che si è concluso con “Destri” e il pubblico in delirio, ha fatto sì che storie e trepidazioni, battiti e turbamenti si sedimentassero sull’erba su cui oggi, nel day after, batte il sole. E mentre nella testa dell’artista si affastelleranno quelle stesse immagini per cui ieri, sul palco, ha usato il filtro degli occhiali, nei pensieri di chi c’è stato risuonerà solo una frase: “Ma che ne sanno gli altri”.