La missione di Francesco DiMeco: "Una vita per la neurochirurgia"
“Quando sei un neurochirurgo e ogni giorno operi il cervello, l’essenza della vita, non smetti mai di guardarti dentro e di porti domande”, dice Francesco DiMeco, un’eccellenza italiana della neurochirurgia internazionale che ha deciso di pubblicare il racconto del suo lavoro. Il risultato è il libro “Una vita per la neurochirurgia”, scritto a quattro mani insieme a Daniela Condorelli (Vallardi, 16,80 euro; 208 pagine). DESTINO - Tutto cominciò in una notte. Forse non era né buia né tempestosa, ma Francesco era un giovane ragazzo dedito allo studio: la cultura umanistica, i classici latini e greci erano le sue maggiori compagnie. Pensava al suo futuro in ambito letterario, finché si ritrovò ad assistere il fratello della sua fidanzata durante un forte attacco di epilessia. Fu allora che ebbe l’illuminazione e capì che avrebbe dedicato la sua esistenza alla cura dei malati e alla scoperta dell’organo umano più affascinante: il cervello. ANEDDOTI - Fra ricordi personali e aneddoti professionali, l’autore ci accompagna alla scoperta di un mestiere che è ancora sconosciuto ai più. Ed è stato sconosciuto anche agli stessi medici fino alla fine degli anni Ottanta, quando molti neurochirurghi operavano a occhio nudo, toccando direttamente con le mani le parti da curare. Oggi, invece, si utilizzanomicroscopi e microstrumenti che permettono di essere meno invasivi e più precisi. E domani cosa ci aspetta? SALA OPERATORIA 3D - Francesco DiMeco, direttore del Dipartimento di neurochirurgia e della I Divisione di neurochirurgia dell'Istituto neurologico Carlo Besta di Milano, nonché Assistant Professor presso il Dipartimento di neurochirurgia della Johns Hopkins Medical School di Baltimora, ci porta nella sala operatoria del futuro, tra robot e la possibilità, sempre più concreta, che il dottore agisca sul paziente grazie a un computer che permetterà movimenti sempre più precisi. Il 24 novembre 2014, infatti, all’Istituto Neurologico Besta di Milano è stato inaugurato il campo d’addestramento della neurochirurgia: il Besta NeuroSim Center. Monitor, bracci collegati ad aspiratori, occhiali 3D che permettono di entrare nella testa del malato prima dell’intervento: oggi questi gioielli della tecnologia aspettano il loro turno in una stanza dedicata, ma presto faranno il loro ingresso trionfale accanto alle sale operatorie. PIU’ ANZIANO – Oggi il chirurgo più anziano è lui, come racconta nel libro. “Non mi stancherò mai di ripeterlo ai giovani: per essere un bravo chirurgo occorrono scuola, esperienza e mano ferma. Ma non basta, le vere doti sono di natura diversa: il discernimento, l’intuito nel capire la malattia del paziente e nel confermare, o meno, che i disturbi dipendono da ciò che è stato evidenziato dalla risonanza e, infine, la capacità di decidere qual è il momento giusto per intervenire. Questo fa la differenza tra un chirurgo e l’altro: il resto si colloca a un gradino inferiore, a un livello che tutti dovrebbero aver raggiunto se hanno avuto l’opportunità di seguire dei maestri e di fare esperienza. È come guidare l’auto: più fai pratica, meglio la guidi”. ESORDI – “Nelle grandi difficoltà e nelle emergenze, però, sei come sospeso; è un’esperienza cui alla fine ti abitui, ma i primi tempi l’incertezza è devastante. Una delle soluzioni consiste nel chiamare il chirurgo più anziano e con maggiore esperienza; quando invece agisci in prima persona e fallisci,ti poni mille domande: “Se avessi lasciato l’intervento al collega più esperto, sarebbe andata meglio?” Nessuna risposta”, conclude il neurochirurgo.