caso giallorosso

Pallotta: "Ora basta, dateci lo stadio"

Fernando M. Magliaro

Lunedì era stata la battuta sul Colosseo («Non so quanto ci hanno messo a costruire il Colosseo, ma siamo vicini a quella tempistica»), ieri, James Pallotta, presidente della Roma, è andato giù duro sul Comune. E non con una chiacchierata a una testata giornalistica ma tramite un tweet dall’account ufficiale della Roma: «Ho inviato da Boston importanti membri di Stadio della Roma (dello staff, ndr) sperando in un progresso, ma al Comune erano troppo occupati per incontrarli. Forse un grande investimento e tanti nuovi posti di lavoro non sono così importanti. Se i tifosi vogliono lo stadio, devono sollecitare un intervento». In prima lettura, queste affermazioni sembrano indicare un netto cambio di strategia comunicativa. Basta attese e rinvii, basta incontri infruttuosi in cui sembra sempre che si ricominci da zero. Nell’ottica della comunicazione giallorossa queste frasi di Pallotta potrebbero segnare una nuova stagione: si vedrà a breve se è l’inizio di una campagna di pressione mediatica sul Campidoglio. A 17 giorni dalle elezioni europee, con la Raggi sotto botta per inchieste, le metro e Atac allo sfascio, i rifiuti e Ama allo sbando, le buche, il verde, e, da ultimo, per l’esplosione del problema dell’assegnazione delle case popolari ai Rom, queste parole di Pallotta devono comunque suonare come un campanello d’allarme per il Sindaco e i suoi. In tutto questo tempo - 2655 giorni dall’inizio dell’iter - la Roma ha sempre tenuto un atteggiamento fin troppo tranquillo: tre Sindaci (Alemanno, Marino, Raggi) e un Commissario straordinario (Tronca), 4 assessori all’Urbanistica, trattative infinite per due versioni diverse del progetto, tre Conferenze di Servizi, le fibrillazioni politiche sulla «pelle» dello stadio fra grillini e Pd, fra Zingaretti e la Raggi, la Regione e il Comune. Solo una volta - a inizio 2017 - la Roma alzò la voce. Spalletti e Totti con il «famostostadio» dettero una sferzata fondamentale all’Amministrazione grillina che, di lì a poco, chiuse l’accordo per la versione del progetto senza Torri e senza opere pubbliche di mobilità. Dopo di che un quieto silenzio. Silenzio dopo l’arresto di Lanzalone, chiamato dai 5Stelle nazionali e romani a sciogliere tutti i nodi creatisi per l’incapacità di trovare una strada unica sul progetto. Silenzio dopo la comica della due diligence interna e, ancor di più, dopo la farsa del Politecnico di Torino, con le relazioni secretate (e violate). Silenzio di fronte alle nuove fibrillazioni della maggioranza penstastellata che sembra ancora incapace di assumere una posizione unitaria e univoca e portarla fino in fondo. Ora, si avvicina il momento della verità. Lunedì prossimo ripartono i colloqui diretti fra la Roma e il Campidoglio. Praticamente tutti i documenti sono pronti: tavole urbanistiche, controdeduzioni alle osservazioni sulla variante. Ma sul tavolo ci sono ancora da sciogliere i 4 nodi fondamentali della Convenzione urbanistica: modalità di versamento dei 45 milioni di euro di contributo costo di costruzione, le modifiche chieste dal Campidoglio al progetto per unificare la via del Mare/Ostiense, il rifacimento della Roma-Lido e, da ultimo, le tribune posticce dell’ippodromo da ricostruire nel parco. Il confronto Roma/Campidoglio va avanti da un anno, con oltre 100 incontri senza che si intraveda una soluzione. Qui c’è la «ciccia» vera dell’accordo: per la Roma la volontà di non ritrovarsi con l’apertura dello stadio legata ad appalti gestiti da Regione e Comune.