IL GIALLO

Delitto Ladispoli, in arrivo la superperizia sulla morte di Marco Vannini

Daniela Cursi

Marco Vannini poteva salvarsi? Risponderà la super perizia che tra una settimana potrebbe determinare una possibile svolta nel processo che conta ben 5 imputati per omicidio con dolo eventuale. Dolo che non sarebbe più “eventuale” qualora risultasse accertato che chiamando i soccorsi alle 23.15, orario in cui è partito il colpo di pistola presso l’abitazione Ciontoli, Marco poteva salvarsi e riprendere perfettamente la sua vita. I 5 imputati sono: la fidanzata della vittima, Martina Ciontoli, suo padre, Antonio Ciontoli, la mamma Maria e il fratello Federico con la fidanzata Viola. Tutti presenti in casa, la sera del 17 maggio 2015 che costò la vita al ventenne di Ladispoli. Mentre proseguono le udienze del processo, l’unica certezza è che non si conoscono ancora le dinamiche  che portarono alla morte di Vannini, a partire dal colpo esploso - del quale Antonio Ciontoli si professa colpevole a causa di uno scherzo - per finire con le motivazioni dell’omissione di soccorso di cui tutti i presenti dovranno rispondere. Mistero e contraddizioni sembrano le uniche coordinate di questo giallo. DICHIARAZIONI E CONTRADDIZIONI Partiamo dalle dichiarazioni, esaminando in primis quella di Antonio Ciontoli: “La mattina avevo deciso di pulire le mie 2 pistole e la sera mi sono ricordato di averle lasciate nella scarpiera del bagno nel momento in cui Marco si stava lavando. Sono entrato in bagno, tra me e Marco c’era un rapporto intimo. Anche mia figlia era presente ma è uscita. Marco ha visto le armi e ha chiesto di vederle. Abbiamo giocato un po’, ho preso la pistola, ho caricato e ho premuto il grilletto pensando fosse scarica”. Da questa dichiarazione si possono dedurre due fatti: Marco stava facendo il bagno in vasca;  la pistola ha esploso un colpo. A questo punto, la domanda è “perchè la fidanzata di Vannini afferma di non aver udito lo sparo e la mamma Ciontoli dichiara di aver sentito solo un rumore sordo, quasi un tonfo? Marco è stato lavato dopo lo sparo o si è fatto spontaneamente il bagno in vasca, ove è avvenuto il delitto? Su questo, i dubbi sono alimentati dalla dichiarazione di Maria Ciontoli che si lascia sfuggire “Gli avevano fatto la doccia” per poi correggersi con “Marco si era fatto la doccia”. Se non è stato in vasca, dove gli hanno sparato?  Il mistero, poi, si infittisce puntando il dito sulla maglietta di Marco Vannini, che non si trova. Eppure doveva essere insieme al resto dei vestiti che Marco - se ha fatto il bagno spontaneamente - aveva riposto prima di entrare in vasca. Tornando alla dichiarazione del Ciontoli, lui racconta: “Mi sono accorto del foro di entrata sulla spalla e pensavo che il proiettile fosse rimasto nel braccio. Perciò non ho chiamato l’ambulanza inizialmente, volevo portarlo io al pronto soccorso. Io e mio figlio Federico abbiamo portato Marco sul letto”. Ma Federico afferma “Io dissi a mio padre di chiamare il 118 avendo trovato il bossolo, e lui alzò il braccio di Marco per vedere dove era passato. Lì ha capito della partenza del colpo”. In base alle parole di Federico, papà Ciontoli, alzandogli il braccio, non può non aver visto che il proiettile aveva trapassato l’arto per finire nel fianco. Ma questo non emerge da alcuna dichiarazione. E Martina sottolinea di non essersi accorta che il suo fidanzato fosse stato ferito da un colpo d’arma da fuoco. Nessuno dei familiari ha sentito lo sparo, nessuno si è accorto subito del foro d’entrata. Nessuno ammette che Marco Vannini urlasse ma i vicini lo hanno sentito, distinguendo anche una voce maschile che diceva “Scusa Marty”. Secondo la testimonianza del signor Liuzzi, vicino di casa della famiglia Ciontoli, la mamma di Martina ha spiegato che Vannini non diceva «scusa Marti», bensì «scusa Massi». Ma nessun Massi era presente in casa. LE TELEFONATE AL 118 Tutte queste contraddizioni collegate dalla corale versione del “non mi ero accorto, non ho sentito” trovano ulteriore caos nel contenuto delle telefonate, reso noto dalla trasmissione “Chi l’ha visto”.  Prima telefonata, ore 23:41- “Urgentemente un’ambulanza a Ladispoli, un ragazzo si sente male il corpo è estremamente pallido… probabilmente uno scherzo… non respira, io non c’ero in quel momento”. La voce sembrerebbe quella di Federico. A prendergli il telefono, poi, sembrerebbe Maria Ciontoli: “Stava facendo il bagno il ragazzo stava facendo il bagno”. Segue una pausa. “Non serve? Non serve?”. Di qui la disdetta della richiesta di soccorso. Seconda telefonata, ore 24:06- Antonio Ciontoli: “Lui ha vent’anni, un’infortunio in vasca, è caduto e si è bucato un pochino con un pettine a punta”. L’operatrice del 118 chiede sentendo strani e strazianti lamenti. Vannini era agonizzante quando l’ambulanza è arrivata ed è deceduto sull’elicottero che avrebbe dovuto portarlo in ospedale. Che cosa hanno fatto i 5 imputati nei 25 minuti intercorsi tra la prima e la seconda telefonata al 118? Viene da chiedersi perché siano tutti e cinque compatti: madre, padre, fidanzata, fratello e fidanzata del fratello. TRACCE DI POLVERE DA SPARO Il Settimanale “Giallo” rivelò già nel 2015 che l’analisi dei Ris non aveva riscontrato impronte sulla pistola, ma aveva rintracciato particelle (provocate dall’esplosione di un colpo d’arma da fuoco) sui vestiti del reo confesso e dei suoi figli.  Colpo di scena, non è su Antonio Ciontoli che sono state riscontrate in maggiore quantità. Secondo quanto riportò allora il magazine, fu registrato sugli abiti di Federico un numero evidente di particelle. Queste erano presenti anche sulle scarpe della vittima. Ma non era in vasca, al momento dello sparo?