I pm condannano la scalata alla Lazio
Dalla nord dell’Olimpico fino ad un’aula del Tribunale di Roma, passando attraverso fantomatici gruppi dell’industria chimica ungherese e imprenditori in odore di camorra. È finita nel peggiore dei modi, con una richiesta di condanna a quasi 60 anni di carcere per gli otto imputati, il tentativo di scalata alla Lazio di Lotito da parte di un gruppo "fantasma" che faceva capo all’ex bomber biancoceleste Giorgio Chinaglia. Una storiaccia dolorosa, anche se a leggere gli atti tutt’altro che chiara rispetto all’impostazione accusatoria della procura, che i pm capitolini hanno descritto come imbottita di teste di legno compiacenti e ultras violenti e spacconi attenti più al potere e al denaro, che alle sorti della squadra di calcio. Una requisitoria dura quella dei magistrati romani, che in aula, durante un’udienza durata quasi due ore, hanno descritto al Tribunale il "sistema" che gli imputati avrebbero tirato su pur di strappare di mano all’eccentrico numero uno laziale le azioni della società che sarebbero poi dovute finire alla cordata nascosta dietro le spalle larghe di "Long John" Chinaglia. Una storia che - secondo il pm - con il calcio giocato ha poco da spartire e che mischia il mondo degli ultras che faceva capo al direttivo degli Irriducibili – per anni padroni incontrastati della curva nord – e quello ovattato e ricchissimo di piazza Affari (la Lazio fu la prima tra le società calcistiche professioniste a sbarcare in borsa ai tempi della guida Cragnotti). Due gruppi differenti tra loro ma, sostengono gli inquirenti, uniti nel loro disegno: da una parte i capi degli Irriducibili Fabrizio "Diabolik" Piscitelli, Yuri Alviti, Fabrizio Toffolo e Paolo Arcivieri (per loro la Procura ha chiesto la condanna a otto anni di reclusione e una multa di 14 mila euro per il reato di tentata estorsione). Dall’altra i colletti bianchi (accusati di aggiotaggio e false informazioni) che dovevano occuparsi della scalata vera e propria alla società sportiva: gli imprenditori Guido Carlo Di Cosimo e Giuseppe Bellantonio (per i due la richiesta formulata dai pm è stata di 8 anni e sei mesi più una multa di 14 mila euro), Fabio Di Marziantonio (6 anni e sei mesi con multa di 10 mila euro) e Bruno Errico (richiesta di tre anni di reclusione). «Due gruppi distinti che però – ha detto in aula il sostituto procuratore titolare dell’inchiesta – avevano un unico scopo comune: mettere seduto ad un tavolo Claudio Lotito e convincerlo a cedere la società». E per raggiungere il loro obbiettivo - sempre a detta del pm - il gruppo non guardava in faccia niente e nessuno. Il direttivo degli Irriducibili infatti, che paradossalmente aveva manifestato in difesa dello stesso Lotito appena una manciata di anni prima, quando cioè la società, dopo la gestione Cragnotti, si era ritrovata ad un passo dal fallimento, inizia a "premere" con striscioni offensivi, lettere e telefonate minatorie, manifestazioni di piazza e blitz a base di letame e lavatrici sotto casa di Lotito per fare sentire il peso della nord che si schierava contro la proprio dirigenza (in barba al fatto che la Lazio continuasse a inanellare stagioni positive): agli ultras, spiegano i pm, mancano gli introiti che la gestione Cragnotti garantiva loro (introiti fatti di coreografie pagate dalla società, biglietti gratis e partecipazioni nel Lazio Store) e il gruppo di Chinaglia aveva promesso un sostanziale cambio di marcia. Dall’altra la cordata di imprenditori dietro cui si celerebbe un prestanome dei Casalesi: cordata che si sarebbe servita del peso di un nome come quello di Chinaglia per coprire una scalata fatta di bonifici "scoperti".