Ciao Mario

È morto ieri mattina il consigliere regionale del Pd Mario Di Carlo. Aveva 57 anni, era ricoverato all'Ifo Regina Elena per una grave malattia. La camera ardente sarà allestita oggi dalle 10 alle 13 nella sala Tevere della Regione Lazio in via Cristoforo Colombo 212. A seguire ci sarà il funerale con rito civile. Di Carlo sarà sepolto a Verrecchie, il paese abruzzese di cui è originaria la famiglia e a cui era sempre rimasto legato. Lascia due figli, Daniele e Lorenzo. Per rendere conto di tutti i messaggi scritti da colleghi e amici per ricordarlo ci vorrebbe un volume della Treccani. In tanti anni di impegno, non solo politico, Di Carlo ha guadagnato la stima anche degli avversari. Laureato in Chimica, cominciò a lavorare nel laboratorio d'igiene e profilassi della Provincia, poi è stato presidente di Legambiente Lazio e direttore generale nazionale. Nel 1993 ha coordinato la prima candidatura di Francesco Rutelli a sindaco di Roma. Tra il '95 e il 2002 è stato presidente di Ama (ne andava fiero soprattutto perché suo padre era uno spazzino), Atac, Sta e Cotral. Poi ha cominciato a fare politica nel senso stretto. È stato assessore comunale alla Mobilità con Veltroni e regionale alla Casa e ai Rifiuti con Marrazzo. È stato rieletto alla Pisana l'anno scorso. Di Carlo aveva una schietta umanità. «Vengo da una cultura per cui il potere non è quello che ti danno ma quello che ti prendi». Così tentava di spiegare la sua indipendenza, soprattutto ideologica, dai partiti, e l'insofferenza all'ipocrisia e alle liturgie della politica tradizionale. Era abituato ad arrivare subito al cuore delle questioni, senza sconti nemmeno per gli amici, senza giri di parole. «Sono un monaco, non mi servono tanti soldi per vivere. Non mi vesto elegante e dunque non spendo molto per i vestiti. Sai che macchina ho? Una Multipla». Per la precisione di Fiat Multipla ne ha avute due, il vecchio e il nuovo modello. Di Carlo credeva talmente nella politica che lo vedevi discutere con tutti dovunque. Era possibile che litigasse di fronte all'entrata della Pisana con qualche manifestante che gli chiedeva conto delle cose fatte: «Che ti credi, io non sono come gli altri. Io non ho paura di litigare» diceva e poi riattaccava a spiegare le sue ragioni. E non si muoveva da lì. Lo chiamavano, ma niente. Restava lì. Magari lo trovavi seduto su uno dei davanzali nel lungo corridoio del Consiglio regionale a discutere con qualche dipendente o qualche politico. Poteva anche raccontarti perché aveva smesso di fumare e non era ingrassato e tu stavi lì ad ascoltarlo perché, comunque, avresti imparato qualcosa. Per questo era stimato anche dagli esponenti di centrodestra. Perché Di Carlo era uno di quelli che ci credono e che non si tirano indietro. Celebri le sue arrabbiature con i tassisti quando era assessore al Traffico. «Perché dovrei avere paura? A Roma ho avuto i ruoli peggiori: presidente dell'Ama, dell'Atac e assessore al Traffico. Sono arrivato alla Regione e ho fatto l'assessore alla Casa». Un destino, riservato a quelli che la politica non la fanno per sé ma per gli altri. Lo sapevano tutti: potevi litigarci con Di Carlo, o almeno discuterci, ed era frequente, anche non comprendere le sue ragioni, pure pensare che non avesse capito ma mai che facesse qualcosa per l'interesse suo o del suo partito, che non fosse onesto intellettualmente, che volesse convincerti soltanto per ottenere qualcosa. Ebbe un momento difficile, di amara delusione, quando Report trasmise un suo fuori onda, quello della famosa «coda alla vaccinara con Manlio Cerroni». Riconsegnò la delega ai Rifiuti al presidente Marrazzo e non fece dichiarazioni per alcuni mesi. Avevano tradito la sua fiducia, non se ne faceva una ragione. Poi è passato pure quello e, piano piano, ha ricominciato ad essere il Di Carlo burbero e schietto che tutti conoscevano. Dopo la politica, Di Carlo aveva due passioni: l'arte e il rugby. Riciclava i materiali, poi li dipingeva e ne faceva delle sculture. Era orgoglioso delle mostre. La palla ovale: è stato merito suo se la giunta Veltroni decise di puntarci. «È sempre stato uno sport di destra, tutti gli anni che ho giocato ho sopportato le convinzioni politiche dei miei compagni. Quante discussioni ho fatto negli spogliatoi! Ma sono stato io, uno di sinistra, a riempire Roma di campi. Siamo riusciti a strappare anche il rugby alla destra. Veltroni l'ha capito subito». Poi c'erano le mucche, quelle che scorrazzano a Verrecchie, dove ha organizzato feste con centinaia di persone. Le prendeva spesso come termine di paragone, «le mie mucche». Allevate in maniera biologica. Di Carlo aveva aperto anche una macelleria-ristorante a Prati. Alcune settimane fa ha scoperto di essere malato. Non s'è arreso fino all'alba di ieri. «Siamo molto addolorati. È una persona che ha dato molto alle istituzioni della nostra Regione. Domani (oggi) abbiamo deciso di accogliere il feretro in presidenza perché è stato anche un valido assessore. Staremo lì domani con lui. Il cordoglio va ai familiari. Ci mancherà sicuramente molto. Siamo tutti molto colpiti per la rapidità con cui questa atroce malattia lo ha divorato» ha detto la governatrice Renata Polverini. Chiaro anche il sindaco Gianni Alemanno: «Roma Capitale rende omaggio a Mario Di Carlo che è stato assessore alla Mobilità di Roma nella prima Giunta Veltroni. Ma oltre a questo doveroso omaggio istituzionale, sono molto addolorato personalmente per la sua scomparsa. Si trattava di un personaggio politico speciale, dotato di forti doti di umanità e di autenticità. Era una persona con la quale, anche da opposti schieramenti politici, era possibile confrontarsi con grande pragmatismo e senza pregiudizi ideologici. Proprio per questo è stato per la nostra città un importante amministratore che ha fatto cose concrete e utili per tutti i romani». Per il presidente della Provincia Nicola Zingaretti «la scomparsa di Mario Di Carlo lascia un vuoto immenso dentro tutti noi. Provo un grande dolore, perché Mario, oltre ad essere stato un ottimo amministratore e un uomo politico dalla grande passione, è stato prima di tutto un amico leale e sincero». Prima di morire, Di Carlo ha chiesto di non avere fiori ma contributi per l'associazione che aiuta le persone con la sindrome di Down. Non avrebbe sopportato di sprecare un'occasione. Neanche questa. Era fatto così, e non si è mai voltato indietro.