Potenziare i centri di protezione per le persone che chiedono asilo

Il nodo della questione è racchiuso in una sigla che ricorda una bibita gassata, Sprar Significa Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Per risolvere il problema degli stranieri presenti sul territorio nazionale e dotarsi degli strumenti di accoglienza per quanti arriveranno nel Belpaese a causa delle rivolte nel mondo arabo è necessario capire che è questo l'anello debole della catena solidale e di integrazione. I posti, infatti, sono pochi. I soldi, pure. «La legge Bossi-Fini regola le procedure d'asilo e crea il decentramento sul territorio dei rifugiati - spiega Laura Boldrini, portavoce dell'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) - Quindi, per ottenere lo status non basta alzare un dito. È un sistema di eleggibilità che ha i suoi limiti ma già funziona con buoni risultati. In Italia ci sono otto Cara, cioè centri di accoglienza per richiedenti asilo. Il più vicino a Roma è quello di Castelnuovo di Porto. I richiedenti vengono auditi uno per uno da una speciale commissione. I più fortunati escono dai Cara e finiscono negli Sprar, che a sua volta rappresenta un circuito di assistenza che fa capo a cento comuni italiani e dispone in tutto di tremila posti». Il problema è quando e se l'aspirante refugee non rientra in tale numero. «In questo caso - spiega ancora Boldrini - devono cavarsela da soli e così spesso si creano sacche di marginalità dannose al rifugiato e alla comunità locale che lo ospita. Perciò è necessario rafforzare il sistema degli Sprar, potenziarlo con risorse adeguate in modo da consentire a tutti quelli che hanno ne hanno diritto e bisogno di avere una copertura. Altrimenti si crea tensione sociale. E la politica deve evitarlo. Negli Sprar la permanenza è di sei mesi. Si seguono corsi di lingua e di formazione per lavori utili. Immagini che lei si ritrovi in Cina senza un lavoro, un alloggio e senza conoscere la lingua - continua il portavoce dell'Unhcr - Le sue possibilità di integrazione sociale sono limitatissime. Per tale ragione, nel duplice interesse dei rifugiati e delle comunità locali, dovremmo mettere più persone in rete e allungare il periodo di protezione oltre il semestre previsto. Se si investe nella fase iniziale dell'accoglienza, gli investimenti ritornano e queste persone possono mettere a disposizione della società la loro esperienza e le loro capacità. È uno sfrozo che ripaga». Nel caso di via dei Villini, però, i somali sono rimasti nella «terra di nessuno» fra Cara e Sprar. «L'ultimo sopralluogo è stato a dicembre - ricorda Boldrini - e i 140 che c'erano in via dei Villini erano tutti passati dai Cara senza, però, essere avviati agli Sprar».