Il testamento teatrale di Molière ha la faccia di Paolo Bonacelli

Sigioca sulla figura sempre contemporanea dell'ipocondriaco, creando pure una corrispondenza fra l'autore che recitò questo personaggio fino alla morte e l'interprete che dona qui la sua dimensione estetica ed espressiva, molto apprezzata dalle platee di tutte le età. Il timore della malattia diventa riflessione ironica sulla morte se non addirittura una beffa esorcistica sul tragico destino che accomuna tutti gli uomini grazie a una prova d'attore in cui Bonacelli cesella con la sua presenza incisiva e carismatica un fragile individuo sconquassato dalla realtà: la chiave della caratterizzazione sta nel registro autoironico che ormai lo contraddistingue sempre con ottimi risultati di credibilità. A tentare di aprire i suoi orizzonti appannati sulla verità sono il fratello Berardo, a cui Carlo Simoni dona grazia e misura in un coerente scetticismo verso la medicina e in una fiera difesa delle proprie opinioni, specchio delle convinzioni dello stesso Molière, e la governante Tonina, una spumeggiante Patrizia Milani che scandisce i ritmi della rappresentazione con entrate e uscite di immediato effetto brillante sul pubblico. L'azione funziona nella sua coralità affidata alla bravura dell'intera e nutrita compagnia guidata dal regista e si confronta con la scena essenziale di Gisbert Jaekel, sapientemente illuminata dai colori di Giovancosimo De Vittorio e colorata dai raffinati costumi di Roberto Banci, capaci di esaltare e vivacizzare le singole attitudini dei personaggi. In un pacificante finale, Argante sogna tutto l'accaduto e i suoi protagonisti in un'epifania onirica inquietante e catartica al tempo stesso che replica e rafforza l'evento teatrale simboleggiandolo come un parto folle della mente o uno scherzo dell'immaginazione. «Argante è un uomo buono, generoso e innamorato, circondato da un assortimento di pazzi - afferma Bonacelli - È un uomo solo, non a causa della sua malattia, ma perché soffre di una solitudine esistenziale e questa sua caratteristica rivela il tratto autobiografico della commedia di Molière». Circondato da un alone di «sacralità teatrale», il testo ha segnato l'ultima interpretazione dell'autore prima di morire.