Offrire più posti nei nidi non significa costruire più asili nido.

Significainvece un deciso cambio di rotta sulla strada finora seguita: quella di ricorrere alla spesa pubblica, spesso inefficiente, per adempiere a una funzione che può essere altrettanto egregiamente perseguita attraverso altre strade. Prima tra tutte, quella della convenzione con le strutture private. Per capirci: gli asili nido e i servizi di assistenza all'infanzia in Italia, secondo i dati Istat dello scorso Giugno, coprono oggi il 12,7% della domanda. Ma in questa percentuale sono computati anche gli utenti di strutture private, convenzionate con il Comune o sovvenzionate dal pubblico; se poi si considerassero anche gli utenti di nidi privati, la percentuale potrebbe crescere fino al 17,8% della copertura. E quel che più importa, è solo grazie ai nidi privati se negli anni c'è stato un aumento del numero di servizi e di posti disponibili: se fosse stato per i nidi comunali, le percentuali di copertura sarebbero rimaste al palo. La dice lunga il fatto che dal 1971, anno di istituzione dei nidi pubblici, al 1985, la copertura è stata ferma al 3%; e che in trentasette anni, fino al 2008, è cresciuta solo di un altro 3%, raggiungendo il 6% circa. Insomma, se vogliamo davvero che gli asili nido siano di più e offrano più posti, non dovremmo sperare nei comuni, ma nell'iniziativa privata, secondo un modello che obbedisce a logiche liberali e di sussidiarietà: per offrire un servizio pubblico non serve necessariamente un gestore pubblico, ma un privato che rispetti i requisiti e offra le stesse garanzie può incaricarsene con risultati altrettanto, se non maggiormente, positivi. Per giudicare l'operato del Comune sui nidi non bisogna quindi guardare agli edifici costruiti, ma alle convenzioni stipulate e agli incentivi promossi verso l'iniziativa privata in questo settore, su cui Alemanno ha già dichiarato di voler continuare a puntare. Resta da capire se l'aumento dei nidi e dei bambini che ospitano possa essere considerato di per sé un fatto positivo. Se il contributo delle strutture di assistenza all'infanzia si conferma indispensabile per permettere ai genitori lavoratori di conciliare famiglia e attività professionale, non può essere considerato risolutivo; soprattutto in mancanza di una vera flessibilità lavorativa, di un'organizzazione del lavoro meno presenzialista, di una libertà effettiva di scelta. E allora, se anche solo una piccola parte dei soldi che Alemanno risparmierà evitando di confondere il Comune con un palazzinaro potessero essere spesi per incentivare il part-time e il telelavoro, per gestire in maniera più elastica gli orari lavorativi, per offrire ai genitori che desiderano dedicarsi personalmente ai loro figli un supporto economico, ai suoi cittadini sarebbe stato reso un ottimo servizio.