Il processo di via Poma

.Ossessionato dal suo coinvolgimento nel caso. Angosciato dal processo, tanto da fargli venire pensieri di morte e costringerlo al ricovero in clinica per un mese e mezzo. Un incubo che per Salvatore Volponi diventerà realtà il 12 novembre, quando l'ex datore di lavoro di Simonetta Cesaroni dovrà sedersi sul banco dei testimoni nell'aula-bunker di Rebibbia. Il perito incaricato dalla terza Corte d'assise presieduta da Evelina Canale ha infatti stabilito, dopo averlo esaminato, che è perfettamente in grado di rendere testimonianza. Malgrado problemi di «fragilità emotiva» che suggeriscono di tutelare in qualche modo il teste nel corso del suo esame, scrive il neuropsichiatra Piero Rocchini nelle dieci pagine della consulenza, «ha piena capacità di rievocare in maniera sufficientemente obiettiva e precisa eventi che direttamente o indirettamente lo hanno coinvolto». Volponi, 66 anni, è uno dei personaggi-chiave del ventennale giallo di via Poma. Tra le altre cose, dovrà chiarire perché quel maledetto martedì d'inizio agosto disse a Paola Cesaroni, sorella della vittima, che non sapeva dove fosse la sede dell'Aiag, facendo perdere così tempo prezioso al gruppetto di persone che cercava Simonetta. La sua «verità» è stata smentita dalla moglie e dal figlio di Vanacore. Poi c'è quella parola («bastardo!») ripetuta due volte davanti al cadavere della ragazza. Era riferita a qualcuno in particolare o si trattava solo di un'esclamazione generica di fronte allo scempio compiuto dall'assassino? In attesa di risposte, l'unica certezza è la paura di Volponi di essere nuovamente messo in ballo. Emblematiche le sue dichiarazioni in sede di perizia: «Siamo morti in parecchi nel corso di questi anni. Questa storia mi ha ammazzato», ha detto a Rocchini. E ancora: «Avevo crisi d'angoscia anche solo all'idea di dover testimoniare». Disturbi che si aggravano in prossimità del dibattimento. Nel febbraio 2010, osserva il neuropsichiatra, «si sarebbe manifestata una nuova pesante crisi depressiva». «L'idea di dover affrontare di nuovo giudici, avvocati e soprattutto giornalisti mi crea un'angoscia che mi distrugge - si è lamentato Volponi - Sentire ancora il mio nome nei telegiornali o sui giornali mi manderà sottoterra». Ma la Corte sembra disposta a correre il rischio.