E i nobili non dimenticano il sacrifico dei martiri pontifici

«Lillio» Sforza Ruspoli era ieri a Porta Pia. La principessa Delfina Metz Massimo Lancellotti, invece, è rimasta a casa. Ma sulla giornata del «volemose bene» hanno da dire la loro. Intendiamoci. Mica è più tempo di portoni chiusi. Insomma, di nobiltà nera, in gramaglie contro i piemontesi. La pace, anche se in molti casi a mezza bocca, data dal 1929, dai Patti Lateranensi. Ma qualche puntino sulle «i» va messo. Dice donna Massimo Lancellotti: «I patrizi romani non si sono entusiasmati più di tanto alle celebrazioni dei 140 anni della Breccia. Non dimenticano l'accoglienza che i blasonati fecero ai Savoia. I Borghese, per esempio. Sapete il dispetto del principe a Vittorio Emanuele II? Stava raggiungendo in carrozza la sua villa quando si accorse che dietro c'era la vettura del re. Allora ordinò al cocchiere di frustare i cavalli per arrivare più velocemente. Infilato il cancello, ordinò di chiuderlo in faccia al conquistatore». Poi donna Delfina mostra una «reliquia» inedita del proprio casato. Srotola una pergamena infilata nel proiettile di una granata. «La bomba fu regalata dal marchese Patrizi, che l'aveva raccolta inesplosa nella sua proprietà, al cugino Filippo Lancellotti, che aveva combattuto a Porta Pia a capo della Riserva Pontificia. C'è scritto "Rira bien qui rira le dernier", ride bene chi ride ultimo». Non ride Sforza Ruspoli: «Sono presidente del Comitato per la Glorificazione di Pio IX. E sono andato a Porta Pia come faccio da venti anni, per commemorare i 19 martiri uccisi dai bersaglieri. Dunque non ho seguito la massa che ora s'infervora sul 20 settembre 1870. Però mi hanno dato fastidio i fuochi d'artificio, il silenzio conformista». Spiega don Lillio: «La mia famiglia si sente italiana fino alle midolla. Lo hanno dimostrato eroicamente Costantino e Marescotti Ruspoli, morti a El Alamein. Ma la riconciliazione tra Stato e Chiesa non sarà autentica fino a quando la Repubblica non riconoscerà che Roma è la capitale spirituale del mondo. E che fu occupato con le cannonate uno stato nato da 1500 anni. Questo bisogna ricordare, invece di compiacersi di coloro che spararono al Papa. Si comportarono come Saddam Hussein quando invase il Kuwait. Che però non aveva una storia di 15 secoli». Incalza Sforza Ruspoli: «A Porta Pia non c'è neanche una targa che ricordi i nomi dei 19 soldati pontifici morti. Allora, invece delle fanfare, ci sarebbe bisogno di tre giorni di lutto. Primo perché i nemici della Chiesa di ieri sono quelli di oggi. Secondo: il 20 settembre 1870 nacque la questione meridionale, che è ancora irrisolta. Terzo: il saccheggio dei beni della Chiesa le tolse la possibilità di aiutare i poveri. Da qui la piaga dell'emigrazione, che allontanò dall'Italia 15 milioni di persone». S'infervora il principe Ruspoli: «Conservo la bandiera pontificia sforacchiata 140 anni fa dagli spari dei Bersaglieri. Nel 2011 la donerò al Vaticano. Sono vecchio, prima di morire voglio che sia nelle mani del Santo Padre. In memoria di quello che avvenne».