Il mostro, un classico bravo ragazzo

« Lo stupratore seriale di cui nessuno avrebbe mai sospettato. Un Giano bifronte che di notte indossava la maschera e si concedeva agli «impulsi a breve», come li chiamava lui. Al circolo del Pd del Torrino, in piazza del Sole, tutti gli volevano bene. Luca coordinava l'attività del circolo e per i colleghi era un punto di riferimento. Nei giorni scorsi si era arrabbiato perché voleva il suo nome sui manifesti del partito e il suo desiderio non era stato esaudito. Si stava occupando dei tesseramenti in vista del Congresso di ottobre. La sua vita era quella di sempre. Di giorno ragioniere alle Metropolitane srl. Nel tempo libero coi compagni di partito. «Non aveva mai dato nessun tipo di avvisaglia», racconta Paola Vaccari, coordinatrice del Pd del Municipio XII, «quando era buio ci accompagnava sempre alla macchina. Non gli ho mai sentito fare un apprezzamento fuori luogo su una donna. Quando qualcuno restava a lavorare fino a tardi lui ti aspettava per tenerti compagnia. Un ragazzo molto calmo. L'ho sempre considerato una personale normale. O almeno quello che tutti noi consideriamo "normale"». Luca era cresciuto al Torrino. Dopo molti anni, raggiunta l'età per andare a stare da solo, si era trasferito da via Durban 10, due passi dall'Ostiense, dove viveva coi genitori, per andare ad abitare a Cinecittà. In via Eudo Giulioli 22, una strada tranquillissima su cui si staglia il grande edificio dell'American Express. Nel quartiere non aveva amici. Si faceva vedere poco. Non aveva socializzato. Un «fantasma». «Secondo me usciva solo di notte - dice Antonio Torino, proprietario del ristorante che dà sull'altro lato della casa di Bianchini - Ma come è possibile che nessuno qui lo conoscesse?». Nella palazzina di Bianchini ci sono sei appartamenti. Il suo è all'interno 2. Le finestre sono coperte dalle grate. Al piano interrato decine di box auto. Come quei garage «habitat» ideale delle sue violenze. Al bar di fronte se lo ricordano poco: «Veniva qui ogni tanto, ma non era uno del posto». Una condomina, ancora spaesata, racconta: «Mancava da casa per giorni, qualche volta è venuta a dormire anche la sua fidanzata, che ha più o meno la stessa età. Sembrava un tipo innocuo, io lo chiamavo il prete, ma si vede che l'abito non fa il monaco». Cinecittà era solo la base. La sua vita continuava a scorrere al Torrino. «Veniva sempre qui a prendere il caffè o l'aperitivo coi colleghi di partito», ricorda un barista ventiquattrenne del Caffè Deco. Accanto al circolo del Pd c'è un parrucchiere. Una delle lavoratrici tira un respiro di sollievo: «Non me lo ricordo bene, ma lo avrò visto senz'altro spesso. Pensare a quanto rischiavamo tutte le volte che uscivamo tardi!». Bianchini prese la decisione di entrare in politica una decina di anni fa. Da un po' di tempo gestiva l'attività del circolo perché il coordinatore precedente aveva dovuto rinunciare per questioni di tempo. I militanti non avevano avuto dubbi: la scelta era ricaduta subito su quel ragazzo «sempre disponibile ed educato». «Me lo presentò suo padre - rievoca Patrizia Prestipino, ex presidente del Municipio XII, oggi assessore al Turismo della Provincia - mi disse che voleva impegnarsi in politica. Io e suo padre abbiamo fondato il comitato di quartiere». È ancora choccata, Patrizia: «È sempre stato una persona deferente, quando ti salutava faceva un mezzo inchino. Uno che negli anni si è sempre dato da fare. Quello che mi dispiace veramente è che nessuno di noi sapeva di quel precedente del '96 quando aggredì una vicina (fu giudicato incapace di intendere e di volere, ndr). La famiglia è esemplare, il fratello è pilota dell'aviazione, il padre una persona integra. Che però non ha mai fatto accenno a quel tentativo di violenza». E proprio il genitore viene descritto da un condomino di via Durban «come un padre-padrone di cui Luca era succube. Un tipo un po' timido e scostante». «Io me lo ricordo alle riunioni di condominio - dice un'altra vicina - era un po' che non lo vedevo, quando ho visto la foto in televisione non l'ho riconosciuto, ho pensato fosse un omonimo. Non me lo sarei mai potuto immaginare». Anche negli ultimi giorni, quando la caccia all'uomo stava per concludersi, Luca era andato come tutti gli anni alla festa del Pd a Caracalla. «L'ultima volta l'ho visto lì lunedì - ricorda Paola Vaccari - mi è sembrato tranquillo come sempre. L'unica cosa che ho notato di diverso era la barba non rasata da giorni. Non ce lo avevo mai visto. Ma non gli ho dato peso». E come dargli peso se anche alle vicine di casa, negli ultimi giorni, raccomandava di non aggirarsi da sole nei garage. «È pericoloso», diceva. Un vicino su cui fare affidamento per non farsi prendere dal panico dello stupratore seriale. Quel ragazzo trentatrenne che di notte si infilava il passamontagna e che la mattina si risvegliava calmo e rassicurante con tutti. Un lavoratore impegnato nel sociale con una vita «normale».