La scuola d'arte dei Longhi, l'altra faccia del Seicento

L'impronta non è certamente quella degli artisti che hanno contribuito a trasformare il volto della «Città Eterna», indirizzata al cambiamento e alla sperimentazione architettonica; tuttavia, sebbene in tono minore, la scuola dei Longhi riesce, in ogni caso, a costituire un punto di riferimento per gli autori del Seicento. Martino il Vecchio, coetaneo di Giacomo Della Porta, in piena epoca segnata dal Manierismo, inizia a muovere i suoi passi come assistente del Vignola, mantenendo un atteggiamento conservatore rispetto al nuovo che avanza. Progetta, probabilmente ispirato da modelli tradizionali, anche se intrisi di una certa eleganza formale, la chiesa di San Girolamo degli Schiavoni, ubicata in via di Ripetta. Suo figlio Onorio, invece, a differenza del padre, partecipa attivamente al rinnovamento culturale che si respira durante il pontificato di Paolo V. Nella Cappella di San Severino di San Giovanni, nella chiesa di Santa Maria Liberatrice, andata perduta, e nel complesso di San Carlo al Corso emergono in maniera evidente, malgrado le incertezze dello stile, qualità di grande importanza che non si traducono, purtroppo, in un'opera compiuta che possa rappresentare al meglio la produzione dell'artista. Splendida è, invece, sopratutto per il forte impatto scenografico che si instaura tra il manufatto architettonico e la scena urbana, la chiesa di Sant'Antonio dei Portoghesi (nelle foto), situata nella via omonima, in una traversa di via della Scrofa. Iniziata nel 1640 da Martino Longhi il Giovane, l'edificio fu terminata da Rainaldi «e non conserva nella veste decorativa - come fa notare il professore Paolo Portoghesi - il carattere originario». L'impianto planimetrico denota una precisa volontà di superare le tipologie tradizionali, sviluppando, nell'impostazione a croce latina, con cappelle laterali, il vano al centro, proprio in corrispondenza dello spazio dei bracci della croce, così come era accaduto in San Pietro. Ad una facciata anonima e piatta, contrappone elementi, come le volute laterali che collegano la parte inferiore con quella superiore della chiesa - parti separate da una sporgente cornice - destinati ad esaltare il movimento plastico del prospetto. «La massa aumenta di volume e di peso verso l'alto, secondo il tema michelangiolesco di Porta Pia. Il rapporto gerarchico struttura-decorazione tende ad invertirsi; il timpano del portale - osserva Portoghesi - grava gigantesco su esili stipi, ai quali si aggancia attraverso corti intrecci di fiocchi e festoni». Questa chiesa può essere considerata come l'embrione della futura fabbrica religiosa dei Santissimi Vincenzo ed Anastasio che si scorge da Piazza Fontana di Trevi. Qui Longhi dimostra una personalità più matura: abbandona, per certi aspetti, gli ideali manieristici a cui aveva aderito aprendo la strada a nuovi obiettivi, quali «la conquista dell'unità plastica attraverso la resa del movimento». In estrema sintesi, la questione avviata da Leon Battista Alberti nel Tempio Malatestiano di Rimini di edificare una facciata in termini di profondità prospettica trova, proprio nella Chiesa del Longhi, prima ancora del capolavoro di Rainaldi di Santa Maria in Capitelli, «la sua estrema risoluzione in termini d'opposizione dialettica tra parete e colonna».