Il fruttivendolo non parla italiano

Una lenta ma costante sparizione delle frutterie gestite da italiani. A Roma quasi una su due di quelle «neonate» ha titolare straniero. Per essere più precisi (dati Infocamere rielaborati dalla Cna di Roma), nell'ultimo anno e mezzo su 173 nuove aperture 74 sono state a titolare straniero, vale a dire il 43% circa e di queste il 25% è di nazionalità egiziana. Un fenomeno non difficile da verificare e praticamente sotto gli occhi di tutti. Diffuso in ogni quartiere e di recente anche nei mercati rionali. Ma dove sono finiti i romani? «Sono sempre più una rarità nei negozi di frutta e verdura anche perché manca il ricambio generazionale – spiega Lorenzo Tagliavanti, Direttore della Cna di Roma – del resto lo stesso sta accadendo in altri comparti commerciali come ad esempio le pizzerie a taglio, le paninerie. Il fatto che la maggior parte di questi titolari sia di nazionalità egiziana non è difficile da spiegare vista la loro tradizionale predisposizione al commercio». Si tratta poi di un'attività a basso investimento iniziale. «Non è un mistero – conferma Walter Papetti, presidente del coordinamento A.G.S. (Associazione Gestione Servizi) romano – che tra le varie attività commerciali, il negozio di frutta è quello che ha un costo più basso di avviamento. Per questo viene scelto dagli stranieri che hanno come caratteristica anche quella di essere grandi lavoratori». Non ultimo, la frutta in questi negozi costa meno e per questo attrae un maggior numero di consumatori, specie in tempi di crisi. «Tra loro c'è veramente poca concorrenza – incalza Franco Gioacchini, presidente dell'Upvad-Cnfcommercio – i prezzi dei prodotti sono quasi ovunque contenuti e in molti casi sotto l' euro al chilo». Ne risente la qualità? «Certo – risponde Gioacchini – non si può pensare che gli stranieri conoscano la differenza tra tutti i nostri vari tipi di frutta che abbiamo in commercio. La qualità è quindi più scarsa».