IL FUTURO DEL LAZIO

Il trionfo di Nicola

Daniele Di Mario

Lunga vita a Nicola Zingaretti. Il centrodestra vuol talmente mandarlo a casa che alla fine preferisce tenerselo. Sergio Pirozzi fa il duro e puro, annuncia azioni eclatanti, promette la sfiducia. Poi, al momento del dunque, smarrisce la penna e non firma la mozione presentata in Consiglio regionale da Fratelli d’Italia. È comunque in buona compagnia: da Stefano Parisi alla Lega, nessuno vuole disarcionare il governatore del Lazio. Perché mandarlo a casa vorrebbe dire rinunciare a poltrone, presidenze di commissione, ributtarsi subito in campagna elettorale. Meglio non disturbare il manovratore, soprattutto se generoso. Così la mozione di sfiducia di FdI diventa carta straccia. Una brutta figura collettiva giustificata al solito modo: azione non concordata; la sfiducia non sarebbe mai passata; e così via. In questo contesto, Zingaretti, che sa far politica e conosce bene gli uomini e le loro debolezze, ha gioco facile. Senza una maggioranza alla Pisana, anziché incartarsi non ne ha sbagliata una. Prima ha chiuso il quadro con gli alleati, poi con le opposizioni. In giunta ha sì nominato propri fedelissimi (Smeriglio, Valeriani, D’Amato, Manzella), guardando però anche agli equilibri di coalizione e di partito. Ha fatto scegliere ai segretari provinciali diversi assessori, non scontentando le correnti e rendendosi inattaccabile sul metodo. Ha disinnescato la bomba LeU nominando Di Berardino, altro fedelissimo messo sul «conto» del capogruppo Ognibene. Con le opposizioni ha avviato colloqui bilaterali per trovare convergenze. Ne sono nati i famosi dieci punti programmatici, sui quali M5S e centrodestra si sono detti disposti a dialogare. Sulle nomine di Consiglio, ha blindato i principali alleati (AreaDem e lista civica) cedendo agli avversari - che un governatore tanto generoso non lo avevano mai conosciuto: meglio tenerselo stretto - posti di prestigio e commissioni, aumentate all’uopo. A partire dal bilancio, Zingaretti potrà cominciare il suo secondo mandato, fondato sulle «maggioranze variabili» e su quel divide et impera vecchio come il mondo ma che gli garantirà di andare avanti per quanto vorrà. Rifondare il centrosinistra non sarà così facile. Ma una nuova architettura, un modello nel Lazio Zingaretti, ultimo rampollo del fu Pci, l’ha già proposto.