L'ex premier

Il gelo di Prodi su Albanese dopo le foto coi leader di Hamas: "Sapete bene come la penso"

Edoardo Sirignano

Il silenzio-assenso è quella regola in politica per cui, dopo un certo periodo di “no grazie”, passa la tua ultima uscita, quella che ha fatto più rumore e, nei fatti, ti ha posizionato da una “certa parte”. È il caso dell’ex premier Romano Prodi. Il padre del centrosinistra sa bene che non può far sua la battaglia di Francesca Albanese, la relatrice Onu che siede ai tavoli con Hamas. Allo stesso tempo, però, non può neanche “scaricarla” pubblicamente, considerando che il suo Pd l’ha difesa fino a ieri. Chiederne le dimissioni sarebbe ammettere l’errore della sinistra e soprattutto avallare quanto scriviamo da mesi.
Motivo per cui il veterano leader le prova tutte per evitare interrogativi “spigolosi”.

Basta vedere quanto accaduto al punto stampa dopo l’ultimo premio Ispi, in cui il professore parla di Trump, Europa e addirittura centrodestra, ma non di antisemitismo o peggio di quelle “foto” che avrebbero potuto mettere in fallo i suoi nuovi compagni.
Detto ciò, non ci arrendiamo e proviamo a sentirlo lo stesso. Lo storico leader, con il suo inimitabile garbo, ci risponde subito e si lascia porre l’interrogativo scomodo. Non ci chiude il telefono in faccia, come fanno i novellini parlamentari, ma ci dice semplicemente che «già sappiamo (sul tema) come la pensa». Ovviamente “nessuna intervista” o peggio “dichiarazione scomoda”. Ma quelle poche parole valgono più di un’ora di inutili chiacchiere perché non solo confermano quanto esternato nell’ultima uscita del prof, in cui lo stesso aveva esortato il rosso sindaco di Bologna a non indugiare nel revocare la cittadinanza onoraria all’Albanese, ma soprattutto trasmettono il gelo o peggio le difficoltà che, in queste ore, vive l’universo moderato dem.

  


Ci riferiamo al mondo centrista che, fino a ieri, aveva detto di essere il partito della Segre, di voler tenere lontane a tutti i costi le frange estreme e che, invece, per l’ultima Francesca che capita, si ritrova allo stesso capezzale di violenti terroristi. I riformisti, riferiscono voci di corridoio, sono arrabbiati. Non sono, infatti, ancora state digerite le critiche al normalissimo viaggio di Fassino in Medio Oriente, né la bocciatura di quel disegno che aveva come unico scopo quello di tutelare un popolo storicamente “amico”. Gli scatti della nostra inchiesta, poi, sono peggio della goccia che fa traboccare il vaso, considerando che confermano dubbi, fino a ora solo pensati. Ecco perché il saggio Prodi sceglie la strada migliore, ovvero non aprire bocca per far passare la sua linea, quella per cui occorre “differenziarsi”, ma neanche smarcarsi, alimentando così spaccature irreparabili.

Allo stesso modo, però, il tecnico prestato alla politica neanche può approvare le esternazioni della relatrice irpina. Anzi, se ne va a pranzo con Mario Monti, il docente portato a Chigi perché la classe dirigente di allora non riusciva a trovare un’alternativa a Silvio Berlusconi. Nella premiazione all’Ispi, dicono i ben informati, si sarebbe parlato di nuovo di nome terzo, di alto profilo da mettere al di sopra dei litiganti. E quale argomento è più attuale in una coalizione progressista in cui i due principali protagonisti non si parlano per una semplice partecipazione ad Atreju.