impallinare schlein

Pd, la tela democristiana di Ruffini e Garofani per lanciare davvero l’operazione anti-Schlein

Aldo Rosati

Il segreto di Pulcinella, ovvero il menù della cena alla Terrazza Borromini. O almeno così è per un settore defilato, ma ancora influente, della Roma che conta. Un parterre che oggi infatti non si stupisce delle chiacchiere tra amici del consigliere del Colle, Francesco Saverio Garofani. Un ragionamento che va seguito con attenzione partendo dalla premessa. La sfiducia nei confronti della segretaria del Pd Elly Schlein ha raggiunto ormai il livello di guardia. Romano Prodi aveva avvertito i suoi interlocutori per tempo, con una drastica bocciatura: «È unfit». Troppo irrituale il suo comportamento, tutto chiacchiere e distintivo, zero sostanza. In pratica è inadatta a sfidare Giorgia Meloni. Una convinzione che nel frattempo è cresciuta di intensità fino ad arrivare sul Colle più alto. E questo è il primo anello, determinante. Il secondo va cercato nella biografia del fidatissimo consigliere di Sergio Mattarella, deputato del Pd per tre legislature. Una carta d’identità inconfondibile: gioventù nella Democrazia Cristiana, transito nel Partito Popolare ed infine nella Margherita di Francesco Rutelli. Negli anni ’90 fu direttore del quotidiano Il Popolo, proprio nella stagione in cui il presidente della Repubblica era segretario del Ppi. Con la nascita del Pd, i punti di riferimento di Garofani restano quelli di tutta la vita: Dario Franceschini, Paolo Gentiloni e naturalmente il Professore. Esattamente l’area di incubazione del nuovo Ulivo in formato bonsai, quello che sta tentando di mettere in campo Ernesto Maria Ruffini.

 

  

 

A questo punto va aperta una parentesi, che riguarda l’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate. Anche lui con saldi riferimenti familiari nello Scudo Crociato. Il padre, Attilio, fu un pezzo da novanta della balena bianca, più volte ministro (Esteri, Difesa, Marina Mercantile, Trasporti) e parlamentare per 24 anni. Arrivò ad essere vice segretario con Amintore Fanfani e Benigno Zaccagnini. Il giovane Ernesto Maria prima frequenta Matteo Renzi, partecipa alla sua Leopolda, con lo sbarco a Palazzo Chigi dell’ex sindaco di Firenze, inizia la sua scalata all’Agenzia delle Entrate. È il periodo in cui torna a immergersi nell’entourage degli ex democristiani, acquisendone anche la capacità di restare a galla. Una qualità che il “rampollo” dimostra di avere in abbondanza: verrà confermato da quattro governi successivi, compresi i due con Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Una volta cambiato lavoro (con le dimissioni durante l’esecutivo di Giorgia Meloni), Ruffini decide di mettere a frutto il rapporto privilegiato con Romano Prodi, e di seguire le orme del Maestro, spodestare “l’inadatta” del Nazareno. Tutti i ragionamenti portano al naturale punto di convergenza: Francesco Saverio Garofani, a modo suo, aiuta a spianare la strada al “predestinato”, l’ultimo figlio ascrivibile alla gloriosa tradizione di Piazza del Gesù.

 

 

Un network che riguarda altri democristiani in servizio permanente: il parlamentare di lungo corso Bruno Tabacci, l’ex sottosegretario Antonello Giacomelli, attuale commissario Agcom, Renzo Lusetti, che fu avversario di Dario Franceschini ai tempi del movimento giovanile. Un gruppo che ha molti contatti nel Pd: il senatore Alberto Losacco, braccio destro dell’ex ministro della Cultura, il deputato Luciano D’Alfonso, ex governatore dell’Abruzzo, molti ex lettiani in sonno in Transatlantico. Tutte pedine di un’impresa ardua: costruire dal nulla l’alternativa a Elly Schlein, ribaltare gli assetti del Nazareno, rivoluzionare le alleanze del campo largo. In pratica la missione di Ernesto Maria che, nell’ultima convention dei suoi comitati “Più Uno” a Roma, ha promesso per la primavera del 2026 l’effettiva discesa in campo. Amici influenti e scarsa aderenza con la realtà, per dire che raggiungere il traguardo non sarà affatto semplice.

Anche perché, nel frattempo, ieri un sondaggio di YouTrend sulle probabili primarie della coalizione di sinistra attesta che la corsa sia iniziata. Con un uomo in fuga solitaria, Giuseppe Conte al 43%, una donna in debito di ossigeno, Elly Schlein al 29%, ed una outsider in costante ascesa, Silvia Salis, che pesca nello stesso bacino dell’ex mister tasse. All’inseguitore, stavolta, non basteranno i buoni uffici di un team blasonato per raggiungere il traguardo. L’Ulivo rischia così di essere l’ultimo miraggio.