L'intervista

Orsina: "Tra Colle e Chigi forte collaborazione. Questo rapporto non può cambiare"

Edoardo Sirignano

«Dalla politica estera agli interni, la collaborazione fra Chigi e il Quirinale, negli ultimi due anni, è stata molto robusta. Non credo che un’illazione fondata su un retroscena possa minare un rapporto contraddistintosi per la lealtà istituzionale da entrambe le parti. Rapporto che è fondamentale per l’Italia». A dirlo il professore Giovanni Orsina, direttore del dipartimento di Scienze Politiche della Luiss.
A far discutere, intanto, è l’indiscrezione per cui Garofani, consigliere del Presidente della Repubblica, starebbe tramando contro la premier.

Una notizia che ha portato il capogruppo di FdI alla Camera Bignami a intervenire, con tanto di risposta dello staff del Capo di Stato e successivo chiarimento. È possibile, oggi, costruire un’alternativa a Meloni nel palazzo, magari con un nuovo governo tecnico studiato a tavolino?

  

«Non voglio entrare nel merito della querelle. Stiamo parlando di un’illazione fondata su un retroscena alla quale non bisognerebbe dare peso. Il dato di fatto è che oggi c’è un governo politico ed è saldamente in sella. E al dato di fatto credo che dobbiamo fermarci».

Ma sul piano dell’offerta, quest’opposizione ha qualche difficoltà a essere alternativa?

«Qualche difficoltà sì, ma non parte nemmeno da zero. Pd, M5S e Avs, da soli, arrivano a un rispettabilissimo 42-43%, più di una semplice base su cui costruire. Con una proposta seria e magari un’alleanza con gruppi di centro sinistra sarebbero più che competitivi. Parliamo di un’area che, stando ai sondaggi, fra qualche giorno do-.• vrebbe prendere due Regioni delle tre in cui si vota».

La sfida, dunque, si chiama centro?

«Pensare un centro che vada oltre il bipolarismo oggi è al limite dell’impossibile. Discorso diverso, invece, è immaginare un centro-sinistra che dia forza all’opposizione. Non è facile, considerando che in quell’area si muovono personalità come Renzi e Calenda, ma è una strada percorribile. Meglio ancora, è un’esigenza reale, a maggior ragione con un Pd che guarda più verso la sinistra».

Sbagliano, dunque, i dem di Elly a ispirarsi al modello Mamdani?

«Bisognerebbe applicare la sempre valida regola dei due tempi: prima dotarsi di un’identità forte, poi allargare il campo di gioco. La sinistra “pura” a cui lei fa riferimento in Italia non supera il 35%, e con questa percentuale non si vince».

La priorità per tutti, nel frattempo, è favorire tutte le collaborazioni istituzionali indispensabili, evitando di alimentare conflitti inutili e pericolosi.

«Assolutamente. Stiamo passando attraverso una fase storica estremamente delicata, di ridefinizione degli equilibri. E non siamo forti: non lo siamo come Italia, ma nemmeno come Europa. Le partite sono molteplici e complesse, dall’approvvigionamento energetico alle materie prime, dalla competitività alla gestione dei flussi migratori, alla sicurezza di fronte alle offensive ibride e sul terreno militare in senso stretto. In una situazione come questa il Paese deve muoversi in maniera coordinata, soprattutto sul fronte esterno. La riunione di ieri del Consiglio supremo di difesa ha dato un grande esempio di collaborazione istituzionale, mi pare».

Un’apertura discussa, intanto, è stata quella della segretaria dem Schlein alla premier sui temi inerenti la violenza sulle donne. La leader del Pd ha fatto la scelta migliore?

«È il classico argomento che si presta alla collaborazione bipartisan. Detto ciò, Schlein, la cui leadership non scoppia di salute, sta chiaramente cercando di appoggiarsi a Meloni: di farsi riconoscere da lei come leader dell’opposizione. Ciò le dà forza nella sua stessa coalizione. Dopodiché, ci sarebbe da chiedersi come si possa conciliare questa strategia con la tesi secondo cui, con questo governo, la democrazia sarebbe in pericolo. Non per caso, negli ultimi giorni mi pare che questa tesi stia scivolando in secondo piano».