il colloquio con il direttore cerno
Salvini: "Stefani sarà il governatore più giovane. In Toscana? Non è colpa di Vannacci. E la pace è grazie a Trump"
«In Veneto è l’inizio di un bellissimo percorso che da Zaia, che è uno dei governatori più amati e apprezzati non d'Italia ma d'Europa, ci porterà ad avere il più giovane governatore d’Italia in carica, Alberto Stefani, sindaco oggi parlamentare, che ha 32 anni. C’è chi dei giovani parla e c’è chi invece sui giovani punta, li forma e poi pone loro delle sfide. Governare una regione infrastrutturata ed economicamente decisiva come il Veneto vuol dire che uno ha la stoffa per farlo». Così Matteo Salvini «battezza» l’inizio della campagna elettorale del vice segretario federale della Lega che in Veneto sfiderà il dem Giovanni Manildo.
A proposito di Regionali facciamo un primo bilancio?
«Nelle Marche abbastanza bene, sette e mezzo, siamo stati determinanti e avremo due presenze in Giunta. Certo anche lì abbiamo litigato un po' troppo come Lega e quando litighi, quando ti dividi, non avvicini evidentemente. In Calabria abbiamo preso il 9,5%, un dato assolutamente incredibile e impensabile fino a pochi anni fa. In Toscana anche lì litigi nel corso degli anni questo esce, questo non si ricandida, quello polemizza e quindi quando vinci è merito di tutti e quando non vinci e hai un brutto risultato, ognuno, a partire da me, si deve mettere in discussione».
Quindi non è colpa di Vannacci?
«No, mi ci metto in primis, bisogna rileggere il tutto, analizzare i dati, è un brutto risultato evidentemente, conto che la Toscana da qui alle elezioni politiche del 2027 triplichi, i consensi. La polemica non serve. Quando non si capiscono alcune cose è sempre meglio aspettare, questo è l’insegnamento che mi diede Bossi. Quindi i dirigenti della Lega locali, regionali, nazionali, planetari che parlano pubblicamente di alcune cose non aiutano, detto questo in Toscana sia Roberto Vannacci che Susanna Ceccardi che i giornali contrappongono hanno la mia totale stima e fiducia».
In Veneto cosa avete deciso? Ci sarà la lista Zaia?
«Penso ci saranno solo le liste dei partiti perché la coalizione ha deciso così quindi io sono soddisfatto perché la Lega ha potuto non imporre ma proporre al tavolo del centrodestra un suo candidato che ritengo eccellente. Zaia ci sarà. Questo messaggio arriva a poche ore dalla presenza di Zaia che dirà quello che vorrà fare quindi permettetemi se aspetto però ci sarà e sarà protagonista sia in Veneto che a livello nazionale. Perché ha maturato un’esperienza tale per cui può giustamente ambire a ricoprire ruoli diversi ricordo che se le Olimpiadi tornano in Italia dopo tanti anni in Veneto e per la prima volta in Lombardia con Milano-Cortina 2026 è grazie alla Lega è grazie alle regioni governate dalla Lega quindi anche grazie a Luca Zaia».
Se in Veneto ci sarà un candidato leghista dobbiamo aspettarci in Lombardia un candidato di FdI?
«La Lombardia voterà nel 2028, siamo ad ottobre 2025 quindi c’è il mondo di mezzo. Chi in quel momento o alle elezioni precedenti avrà più forza elettorale avanzerà la sua proposta».
E a Milano?
«Milano mi tocca direttamente personalmente, primo perché è la mia città secondo perché è ferma. Vuoi per lo scontro fra il sindaco Sala, la procura di Milano, il sequestro dei cantieri, il blocco dell’edilizia, la paura di firmare. È una città che per sua natura va avanti, corre, anticipa, ma adesso è ferma. L’esempio dello stadio dopo sei annidi tempo perso di litigi a sinistra, siamo tornati alla casella iniziale e abbiamo perso sei anni e un liardo e 300 milioni di euro di investimento pubblico peraltro con una delibera poco trasparente senza garanzie per il territorio e per il quartiere. San Siro, lo dico per i non milanesi, non è solo lo stadio, i concerti le case dei ricchi dei calciatori. A poche centinaia di metri ci sono anche le case popolari, è uno dei quartieri più complicati di Milano. Il centro-destra però questa volta non può sbagliare, né a Milano né a Roma dobbiamo muoverci prima rispetto all’ultima volta e credere nella vittoria. Penso che si possa vincere sia a Milano che a Roma con i candidati giusti, la squadra giusta, il progetto giusto e i tempi giusti soprattutto».
Trump è l’artefice della pace fra Palestina e Israele ma anche l’Italia ha fatto la sua parte.
«Innanzitutto bisogna dire un enorme grazie a Trump, ma lo direi se ci fosse ancora Biden, se avesse vinto la Harris o se stesse governando Obama. Perché è probabilmente uno dei conflitti più antichi, più sanguinosi e più complessi ancora da risolvere, perché abbiamo messo un mattoncino, c’è ancora la casa da costruire però questo mattoncino nella storia non era mai stato messo. Il governo italiano ha contribuito con la sua prudenza senza lanciarsi in riconoscimenti della Palestina che sembrava lo sport del momento di governanti in difficoltà in casa loro; non capendo che così facendo la allontanavi la pace. Devo dire che oltre a Trump il custode è il Santo Padre che anche ieri ho avuto l’onore da ministro di sentire a pochi metri di distanza con parole chiare sul presente, sul passato e sul futuro, sulla convivenza, l’obiettivo dei due popoli, due Stati che prevede appunto lo sradicamento di Hamas. Secondo me è ontologicamente e socialmente sbagliato mettere sullo stesso piano, come fanno molti giornalisti in Italia, Netanyahu e Hamas. C’è un governo di un paese democratico dove la gente protesta contro il governo cosa che è lecita e dall’altra c’è un’organizzazione terroristica che sta giustiziando in piazza quindi non puoi mettere sullo stesso tavolo un governo che ti può stare simpatico o antipatico e un’organizzazione terroristica».
Perché nelle piazze ProPal faticano a riconoscere i meriti al presidente Trump?
«Perché secondo me c’è un sentimento anti-americano e anti-ebraico che si unisce allo smacco di vedere un governo dopo tre anni stabile, forte, credibile serio.
L’Italia è più stabile della Francia della Germania e di tanti Paesi europei. Il governo va dritto e va bene alle elezioni regionali. Se togli la Toscana, l’Umbria la Sardegna, le hanno perse tutte e si preparano a perderne altrettante. Quindi mettetevi nei panni di uno di sinistra».
Rimaniamo all’estero. Che succede in Francia?
«Hanno riproposto l’ennesimo governo con le stesse persone. Lecornu ha detto che non farà niente fino al 2028 però un governo che si propone come programma elettorale non fare niente non mi sembra il massimo. Però se non è quest’anno, l’anno prossimo voteranno e vincerà Rassemblement National con Marine Le Pen o Jordan Bardella. In Germania anche lì c’è un governo che tiene dentro i socialisti e i popolari che però si stanno già scontrando sul Green Deal. In Austria l’FPO è il primo partito, in Portogallo e in Spagna i nostri alleati come Lega dei Patrioti di Chega e di Vox stanno crescendo. In Gran Bretagna se si votasse domani Nigel Farage vincerebbe a piene mani».
Capitolo Manovra. Il taglio di due punti della seconda aliquota è un primo segnale importante per il ceto medio?
«Alcuni contestano che con la riduzione dell’aliquota ci sarà un risparmio di sole 300-400 euro, ma come diceva Monsignor de la Palisse meglio in più che in meno.
Abbiamo messo in campo anche la detassazione dei rinnovi contrattuali».
Ci saranno le risorse anche per la rottamazione?
«La rottamazione riguarda almeno 15 milioni di italiani, ovviamente riguarda quelli che hanno fatto la dichiarazione dei redditi. Stiamo parlando di un periodo che va dal 2000 al 2023, e di mezzo c’è stato il Covid, le guerre, il caro energia. Uno può aver avuto una malattia in famiglia, un brutto divorzio, il fornitore che non paga, il litigio col cliente. Non è un premio ai furbetti perché i furbetti sono fuori. Qui si parla di chi ha dichiarato e non ce l’ha fatta perché a fine mese doveva decidere se pagare i dipendenti, dare da mangiare ai figli o saldare il proprio debito con lo Stato. La chiamiamo pace fiscale perché porterà serenità in tante case».
Perché non hanno funzionato le vecchie rottamazioni?
«Perché erano troppo brevi e se avevi una cartella grossa, per esempio da 200mila euro, ti chiedevano una fiche di ingresso e poi rate troppo pesanti. Noi abbiamo scelto una sorta di mutuo di 9 anni, con delle rate uguali ogni mese, senza fiche di ingresso, senza le sanzioni».
Col Ponte sullo Stretto invece a che punto siamo?
«L’ultimo passaggio è quello della Corte dei Conti che dà il parere di legittimità e conto che entro questo mese ci sia il parere; ovviamente spero in un parere positivo. Perché di seguito ci sarà la bollinatura, la pubblicazione in gazzetta ufficiale e quindi vuol dire che da novembre partiranno i cantieri, gli operai, gli espropri, le indagini sul posto e le scuole di formazione professionale. Un altro grande aspetto per i giovani perché ovviamente una parte della mano d’opera ci tengo che arrivi dai ragazzi siciliani e calabresi.
Sarà la fine di un percorso lunghissimo. Basti pensare che il primo ministro dei lavori pubblici che immaginò un collegamento stabile fra Sicilia e Calabria fu il mio conterraneo lombardo, cremonese per la precisione, Stefano Iacini nel 1866».