L'intervista
Settimana corta, Rotondi: «Chi è sempre nella capitale resta lontano dai cittadini»
«Il lavoro di un parlamentare non deve essere valutato solo rispetto a quanto produce in Aula, ma in base alla presenza sul territorio o meglio valutandone la capacità di impostare e proporre i problemi. Chi è sempre nel palazzo è distratto dalle sofferenze della gente. Farà contento il suo partito, ma non porterà certamente avanti le istanze di chi lo ha votato». A dirlo Gianfranco Rotondi, deputato di Fratelli d’Italia.
Si ritrova con la proposta del ministro Ciriani?
«Un parlamentare, a mio parere, dovrebbe stare di più nelle comunità. È quello il suo mestiere».
Possiamo dire che, rispetto a qualche anno fa, le abitudini, in tal senso, sono cambiate?
«Dipende dalle usanze dei singoli. Detto ciò, con il nuovo sistema elettorale, si è persa un po' questa consuetudine. Sono i partiti a decidere gli eletti e, dunque, in molti preferiscono impiegare il proprio tempo per coltivare i rapporti con il vertice».
Da dove, allora, bisogna ripartire?
«I collegi uninominali, come le liste corte, possono considerarsi dei punti di partenza. La speranza ovviamente è che la prossima legge elettorale possa coniugare meglio queste esigenze. Se un deputato o un senatore fa gli interessi del luogo in cui è stato votato fa qualcosa di buono, recupera un po’ di sfiducia nella politica».
Cosa intende?
«In questo momento sto rientrando da Locri. Non me lo ha ordinato il medico. Tra ieri e oggi sono stato quasi dieci ore in treno solo per incontrare una decina di persone. Nonostante ciò, sono soddisfatto perché ho visitato un territorio in cui la presenza dello Stato non è scontata».
I social hanno cambiato le abitudini. Si può essere solidali a una causa anche attraverso una foto o un post a distanza...
«I social sono un inganno perché generano un rapporto futile e momentaneo. Non lasciano niente. Non basta farsi uno scatto per comprendere un’istanza».
Sbagliato, quindi, utilizzarli?
«Anche questo è un errore. La strada maestra è mixare gli strumenti tecnologici con le abitudini classiche che, dall’antica Roma, restituiscono alla piazza il luogo del confronto. Spero in un recupero di fisicità, che non significa opporsi alle moderne piattaforme digitali».
La “settimana corta” in Italia, dunque, è realizzabile o è il classico spot estivo che, poi, sarà messo in soffitta?
«Ciriani ha detto la verità. Il venerdì in Aula non c’è nessuno. La Camera è chiusa, così come lo è il lunedì. Nelle interrogazioni ci sono due presenti: l’interrogato e l’interrogante. Pochi addetti ai lavori svolgono delle pratiche d’ufficio. Meglio una settimana di quattro giorni in cui vengono approvati i veri provvedimenti, le grandi riforme. Non dimentichiamo che Berlusconi proponeva di far votare solo i capigruppo. Questo forse è troppo, ma occorre valutare l’impegno di un eletto in modo complessivo».
Il suo ragionamento sembra combaciare quasi con quell’antipolitica, su cui il Movimento 5 Stelle ha costruito una fortuna…
«L’antipolitica è una fabbricazione in vitro. La inventò il Corriere della Sera per tirare la volata a Montezemolo. Sbagliò, poi, la dose e al posto di ritrovarsi l’imprenditore, si dovette accontentare di Beppe Grillo».