deficit più alto

Nadef, paghiamo i danni lasciati dai grillini. Deficit più alto per il Superbonus

Filippo Caleri

Hanno provato ad abolire la povertà. Non ci sono riusciti. E ora paghiamo il conto che hanno lasciato i grillini. Quel «maledetto» Superbonus 110 condito dalla pletora di altre misure per rilanciare l’edilizia, e il Pil del Paese dopo la ferita inferta dal Covid, si è trasformato in un boomerang letale sui conti del 2023. Ieri il sigillo della catastrofe contabile lo ha messo il governo che, approvando la Nadef, la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, ha dovuto inserire un deficit per l’anno in corso al 5,3% dal 4,3 stimato nel Def di aprile. Un punto secco in più determinato dallo sconto della cambiale lasciata da Conte e compagnia al Paese. Che significa ovviamente più debito caricato sulle famiglie e sulle imprese. Un effetto della decisione di Eurostat, l’istituto statistico europeo, che ha classificato il superbonus «pagabile» già nel 2023, con la conseguenza che le spese verranno tutte conteggiate nel deficit di quest’anno, portando all’incremento indicato nella Nadef. Un colpo duro perché «in assenza di questi, il debito sarebbe sceso di un punto percentuale all’anno. I bonus edilizi comportano un sostanziale incremento del fabbisogno pubblico nel corso dell’intera legislatura, riducendo gli spazi di manovra per finanziare interventi a favore dell’economia reale e delle famiglie» hanno spiegato da Palazzo Chigi.

 

  

 

Più puntuale il commento del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti: «Il conto da pagare per i bonus edilizi, soprattutto il Superbonus, i famosi 80 miliardi ahimè in aumento, sono pagati in 4 comode rate dal 2024». Preso atto del disastro a cinque stelle i programmi dell’esecutivo nell’impostazione della Legge di Bilancio restano improntati alla prudenza. Sulla crescita ad esempio. Vista la recessione latente, nel 2023 il Pil è stimato allo 0,8%, all’1,2% nel 2024, e rispettivamente al 1,4% e all’1% nel 2025 e nel 2026. Almeno per ora, però, considerata la probabile ripartenza del Patto di Stabilità dalla fine del 2023 il rigore e l’austerity restano nel cassetto. «Qualcuno potrebbe osservare che non rispettiamo il famoso 3% di deficit, effettivamente non lo rispettiamo. La situazione complessiva non induce a ritenere di fare politiche procicliche che contribuiscano a determinare, oltre alle politiche monetarie restrittive, la recessione. Quindi l’asticella è stata posta, a nostro giudizio, a un livello di assoluta ragionevolezza». Insomma si sfora e si accende altro debito per evitare che il Paese si fermi. «A Bruxelles capiranno» ha spiegato il capo del Mef confidando in un approccio positivo della Commissione.

 

 

Nel dettaglio, la Nadef indica un deficit tendenziale a legislazione vigente del 5,2% nel 2023, del 3,6 nel 2024, del 3,4 nel 2025 e del 3,1% nel 2026. Nello scenario programmatico, dunque tenendo conto delle misure, il deficit è del 5,3% nel 2023 e del 4,3 nel 2024 (creando la dote di 14 miliardi per le misure dell’esecutivo). Il rapporto debito/pil scende dal 141,7 del 2022 al 140,1% nel 2024 fino al 139,6% nel 2026. Confermato l’aiuto ai redditi medio bassi, la decontribuzione già decisa l’anno scorso, gli interventi a favore delle famiglie con figli e l’attuazione della prima fase della riforma fiscale per proseguire nella politica di riduzione delle tasse e della pressione fiscale. Avanti anche sui rinnovi dei contratti del pubblico impiego con particolare riferimento alla sanità. A dare respiro alla manovra arriveranno le privatizzazioni, che sul pluriennale valgono l’1% del Pil. Su Mps però non si corre: «Non abbiamo necessità di fare cassa subito» ha chiosato Giorgetti. Altra cassa, infine, dalla spending review dei ministeri da cui il governo si aspetta 2 miliardi nel 2024, compresi i 300 milioni già stimati.