grandi opere

Ponte sullo stretto, primo sì alla Camera e la sinistra rosica

Christian Campigli

Un'opera attesa quindici anni. Un'infrastruttura che unirà la più grande isola italiana con il «Continente». Un impegno politico portato avanti dal centrodestra con serietà. Nonostante l'ironia becera, le battutine da quattro soldi e la sfiducia un tanto al chilo della sinistra. Il ponte sullo stretto si farà. La Camera dei Deputati, ieri pomeriggio, con 206 voti favorevoli, 124 contrari e 5 astenuti ha detto sì al decreto legge per la realizzazione dell'attraversamento che unirà Messina e Villa San Giovanni, la Sicilia e la Calabria. Ora, dopo il primo via libera, servirà la conferma del Senato per iniziare i lavori. «Il fatto che le cose non si siano mai fatto in Italia non significa non si possano fare – ha sottolineato l'esponente della Lega, Claudio Borghi - Credo si che tra nove anni il ponte ci sarà. Credo che l’attuale Governo potrà essere ricordato per questo».

Da sinistra, immancabili, si sono sollevati i cori di protesta. Il primo è stato Angelo Bonelli (Alleanza Verdi e Sinistra). «Sono stati spesi 1,2 miliardi di euro e si continua a foraggiare un progetto che costerebbe all'Italia 8/10 miliardi di euro. Tutto ciò è ingiustificabile. Presenteremo un esposto alla commissaria Ue sui trasporti. Il ponte è un progetto anacronistico». Gli fa eco il senatore del Pd, Michele Fina. «Il governo ha preso l’abitudine di farci discutere di titoli dietro i quali c’è il nulla. L’Italia avrebbe emergenze assolute non più rinviabili, tra le quali infrastrutture vetuste a partire da quelle calabresi e siciliane, interventi capillari contro il rischio e dissesto idrogeologico, prevenzione e adattamento per affrontare l’aumento di fenomeni sismici». Critiche feroci anche da parte di Nicola Fratoianni, di Sinistra Italiana. «Conviene che nessuno faccia piena luce, su cosa significhi quest'opera, sia dal punto di vista ambientale che dal punto di vista economico. Prima di posare le pietre dell'opera, ci sono fior di nomine da fare».

  

Un astio, quello dei progressisti, che ha radici antiche. Il Ponte sullo Stretto è stato, infatti, uno dei grandi cavalli di battaglia di Silvio Berlusconi. L'uomo che ha impedito alla sinistra italiana di salire al potere dopo Tangentopoli. Il Cavaliere ne iniziò a parlare già nel 1994. Ma fu durante la campagna elettorale del 2001, quella dello scontro contro Francesco Rutelli, che il tema diventò di dominio pubblico. Venne inserito nel disegno delle grandi opere da realizzare e presentato a Porta a Porta, quando Berlusconi sottoscrisse il celebre «Patto con gli italiani». Nel 2006 venne firmato il contratto per la progettazione, con la società Impregilo. Prodi e la sinistra vinsero le elezioni e il progetto finì in archivio. Almeno fino a quando, nel 2008, l’esecutivo di sinistra cadde e Berlusconi ritornò al potere. Due anni più tardi venne completato il progetto definitivo, approvato nel 2011, ma bocciato dall'Unione Europea, che decise di non includerlo tra le grandi opere destinatarie dei fondi comunitari. Poche settimane più tardi, cadde l'ultimo governo Berlusconi. Seguirono gli anni di Mario Monti e dell'austerity. Ieri, dopo dodici anni, il sogno dell'ex Presidente del Consiglio si sta per trasformare in realtà. Il miglior regalo possibile al leader di Forza Italia che, dal letto dell'ospedale San Raffaele di Milano, sta lottando come un leone per tornare presto sul campo della politica.