riforma giustizia

Intercettazioni, "nessuna abolizione". Chi smonta le falsità sul ministro Nordio

Pietro De Leo

Nessun bavaglio, nessun divieto sull’utilizzo delle intercettazioni. Chi lo sostiene, chi scrive titoloni su questo, mistifica, strumentalizza e alza la tensione dello scontro politico su un pericolo inesistente». Il Tempo affronta il tema della settimana, ossia la posizione del governo sulle intercettazioni telefoniche, con Simonetta Matone. Deputata della Lega, componente della Commissione Giustizia, e magistrato per oltre quarant’anni che dunque ben conosce la materia. «Sa come vengono definite, in gergo, le intercettazioni nelle indagini per il traffico di stupefacenti?».

Questa ci sfugge, onorevole
«Glielo dico io: “droga parlata”. Proprio perché sono uno strumento utilissimo. Così come lo sono per mafia e terrorismo. Nessuno vuole togliere niente».

  

Nessun testa-coda, quindi, al governo?
«No, assolutamente. Ho letto attentamente quello che il ministro della Giustizia Nordio ha dichiarato in Commissione Giustizia, al Senato e alla Camera. Da nessuna parte c’è l’intendimento di abolire le intercettazioni. Lui, piuttosto, parla di abuso, fa un discorso di filosofia del diritto molto raffinato. Dice che le intercettazioni sono la base da cui partire, per andare verso modelli investigativi vincenti».

Quali sono le esigenze in campo?
«Da un lato effettuare indagini serie quando si tratta di fenomeni investigativi complessi, gravi e drammatici. Ma dall’altro evitare la diffusione delle intercettazioni fatta in modo strumentale. La fuga di notizie è quasi sempre pilotata da disegni diversi relativi all’accertamento della verità. Dunque quello che il governo si propone di fare è occuparsi di questo. Ho apprezzato molto quando Nordio ha citato il modo con cui vengono svolte le intercettazioni preventive. Vengono autorizzate dal procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma, ne è a conoscenza solo lui con i servizi segreti. Ebbene, non è mai uscita una riga. E le dico per esperienza diretta: io sono stata sette anni in Procura Generale, e non ho saputo mai nulla del contenuto di queste intercettazioni. Quello è un meccanismo che funziona».

Però per le altre intercettazioni il discorso è ben diverso. La riforma che aveva a suo tempo fatto Orlando non ha funzionato?
«Evidentemente no, perché continuano ad uscire. Assistiamo ad un colabrodo, perché la vera alleanza non è pm-gip, ma tra parti malate della magistratura con alcuni settori della stampa. Vorrei ricordare quel che scrive Palamara nel suo libro. Ma le operazioni di killeraggio di cui parla lui, ce le siamo dimenticate? Io ho visto gente umanamente rovinata per via di intercettazioni uscite sulle vite personali. È una cosa che distrugge».

Inquadrato il problema: la domanda è: come se ne esce?
«Individuando gli strumenti adeguati e con volontà politica».

Il sottosegretario alla giustizia Delmastro parla di illecito civile da applicarsi ai giornalisti in caso di pubblicazione di intercettazioni non pertinenti. Può essere quella una via d’uscita?
«Non sono al governo, dunque non mi compete valutare e commentare questa posizione. Al governo, con il supporto del Parlamento, si troverà una sintesi per bloccare questo fenomeno. Però una precondizione si può individuare».

Qual è?
«Bisogna lavorare affinché negli uffici giudiziari, una volta per tutte, maturi una svolta culturale, in cui si percepisca il dovere alla riservatezza di questo materiale».