i tagli della discordia

Tagli della discordia, in tilt il Parlamento ridotto

Carlantonio Solimene

Alla fine il dato che più conta è uno. I bilanci previsionali di Camera e Senato per gli anni 2022, 2023 e 2024 non prevedono alcun risparmio rispetto a quello del 2021. Con un piccolo particolare: nel frattempo il numero dei parlamentari è stato ridotto di oltre un terzo, da 945 a 600, e i promotori della riforma, all’epoca della campagna referendaria, avevano pronosticato un risparmio, per le casse dello Stato, di 500 milioni di euro l’anno.

All’epoca furono solo in 14 i deputati che, nell’ultimo passaggio parlamentare della riforma, votarono contro il taglio degli eletti. Il clima nel Paese, d’altronde, era quello che era, come sempre. La «casta» va punita, e pazienza se gli «onorevoli» - con tutte le loro colpe - sono pur sempre i rappresentanti del popolo. Dai (pochissimi) contrari si alzavano allarmi soprattutto riguardo i pericoli per il funzionamento delle Camere e per il deficit di rappresentanza a causa del sistema elettorale. Ci si chiedeva: ha senso tagliare il numero dei parlamentari e lasciare invariati i delegati regionali che eleggono il Presidente della Repubblica? E cosa accadrà in alcune Regioni dove, a causa del taglio dei senatori, ci saranno forze politiche che pur avendo percentuali intorno al 10-15% non riusciranno a eleggere neppure un parlamentare?

  

Nessuno, però, metteva in dubbio i risparmi. E invece è successo che la Camera continua a costare ai contribuenti circa 950 milioni di euro l’anno e il Senato grosso modo la metà. Com’è stato possibile? In realtà il monte stipendi sarebbe pure sceso, in totale di 61 milioni di euro. Peccato che altre voci siano aumentate. «Ci sono una serie di spese aggiuntive» ha spiegato alcuni giorni fa il questore di Montecitorio Filippo Scerra a Pagellapolitica.it, «come l’incremento del prezzo delle materie prime, dell’energia elettrica e del gas». E poi ci sono «contributi e pensioni dei parlamentari da pagare in più, perché molti stanno andando in pensione».
È una parte della verità. Perché, ad esempio, si è deciso di non tagliare di neanche un euro i contributi ai gruppi parlamentari. Erano 31 milioni alla Camera e tali sono rimasti, con il risultato che prima ogni deputato portava «in dote» al suo gruppo 49mila euro l’anno e oggi ne vale 77mila. Stesso discorso a Palazzo Madama: ai gruppi si girano 22,1 milioni come nel passato e oggi ogni senatore significa 110mila euro l’anno per la sua formazione contro i 70mila di un anno fa. «Perché i parlamentari sono diminuiti - si spiega - ma l’attività legislativa è la stessa, e quindi non si possono tagliare i collaboratori». Bella consolazione.

Niente risparmi, quindi. Ma il funzionamento? Qui il discorso è più complesso. Nella scorsa legislatura, a differenza del Senato, nonostante fossero passati due anni dal referendum confermativo del taglio la Camera non è riuscita ad approvare la riforma del regolamento che sarebbe stata necessaria per «sterilizzare» la riduzione dei deputati. Lo ha fatto ieri, puntando innanzitutto a ridurre il numero necessario di deputati per costituire un gruppo, che era di 20 deputati ed è diventato di 14, sebbene già prima fossero state concesse delle deroghe all’Alleanza Sinistra Verdi, solo 12 eletti, e a Noi Moderati, cui ne sono bastati appena 9. Il regolamento, però non affronta il nodo delle Commissioni, definito il «secondo binario», che sarà trattato in un successivo confronto nell’ufficio di presidenza guidato da Lorenzo Fontana.

Al Senato, dove la riforma è stata fatta in coda alla scorsa legislatura ed è completa, non è che però le cose siano molto più semplici. Perché il cambiamento principale è stato l’accorpamento delle Commissioni per passare da 14 a 10. Il ché ha provocato la nascita di organismi «omnibus» che devono occuparsi degli argomenti più disparati. Alla Commissione Affari Costituzionali, per dire, sono state date anche le «deleghe» su editoria e digitalizzazione (giuristi col tablet, insomma...), la X oltre alla Sanità dovrà occuparsi pure di affari sociali, lavoro pubblico e privato, previdenza. In più è stata chiesta la collaborazione dei presidenti di commissione per evitare convocazioni «contemporanee» e non mettere in difficoltà i senatori che fanno parte di più di un organo. Ed è stato consentito che le commissioni possano riunirsi anche contemporaneamente all’Aula, a patto che non siano previste in quel giorno votazioni. Insomma, sarà sempre più frequente vedere illustri senatori esporre i propri interventi a decine di banchi vuoti. E vedendo queste scene qualcuno, magari tra gli stessi che hanno votato convintamente il taglio, ne approfitterà per sostenere che «questi non hanno neanche voglia di lavorare».