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Nel Movimento 5 stelle scatta la poltrona di cittadinanza. Conte studia come riciclare gli epurati

Carlantonio Solimene

Una ipotesi l'aveva avanzata Beppe Grillo mentre infuriava il dibattito sul tetto dei due mandati: «Quelli non ricandidati potrebbero rimanere nel partito come professori a contratto della scuola di formazione M5s». Accompagnando la promessa con un rassicurante «non abbandoneremo nessuno». Un'altra strada si sta affacciando in questi giorni: ossia stipulare dei contratti di consulenza per aiutare la nuova pattuglia di eletti, talvolta a digiuno di dinamiche parlamentario bisognosi di qualcuno che abbia maggiori contatti con la base. Come che sia, la «ricollocazione» dei big grillini appiedati dalla tagliola alla rielezione è uno dei temi più caldi nel Movimento 5 stelle nei giorni successivi al voto. Con una certezza: l'aver portato in Parlamento 80 rappresentanti, oltre le più rosee previsioni, dà un po' di ossigeno alle boccheggianti casse del M5S.

 

  

Almeno 4 milioni di euro l'anno di contributi ai gruppi (ogni eletto ne vale circa 50mila) che, oltre a foraggiare le iniziative dei parlamentari, permetteranno di accontentare anche qualche ex rimasto appiedato e senza stipendio. I nomi sono abbastanza noti e «pesanti». Primo tra tutti, quello del presidente uscente della Camera Roberto Fico. Che ha dalla sua diversi meriti: il primo è quello di non aver mai mollato la barca grillina quando i suoi ex sodali- da Di Battista a Di Maio - hanno sbattuto la porta. Il secondo è quello di essersi speso tanto in campagna elettorale. Con risultati eccezionali, peraltro: nella sua Napoli il Movimento ha fatto l'en plein nei collegi uninominali.

 

Il terzo, infine, è la competenza su diversi dossier. Non solo sul funzionamento di Montecitorio, ma anche sui meccanismi della Commissione di Vigilanza Rai, che lui aveva presieduto dal 2013 al 2018 e che potrebbe tornare a essere guidata da un grillino, essendo uno degli organismi di prassi affidati all'opposizione (e il Pd dovrebbe puntare al Copasir). Di Fico, insomma, Conte non intende fare a meno. Anche per mantenere un collegamento con il Movimento delle origini, assai fievole tra i neoeletti. Certo, occorrerà studiare la formula «economica». Fico non è il tipo da avanzare richieste, ma è un fatto che prima di entrare in Parlamento la sua dichiarazione dei redditi recitasse un malinconico zero. Se proprio si esigerà gran parte del suo tempo - e Conte lo vorrebbe nel gruppo dirigente- occorrerà in qualche modo «ricompensarlo».

 

Una situazione analoga a quella di Paola Taverna: prima di entrare in politica guadagnava 16mila euro l'anno (dichiarazione dei redditi 2012). Ora, nonostante la mancata ricandidatura, è rimasta uno degli esponenti di punta nel Lazio ed è la più «turbocontiana» dei grillini storici. Peraltro la sua verve tornerà utile nei prossimi mesi, visto che proprio nel Lazio andrà condotta un'altra campagna elettorale, quella per le Regionali. Così come pare che Conte non voglia fare a meno neanche di Riccardo Fraccaro (l'«inventore» del Superbonus 110) e del sottosegretario uscente agli Interni Carlo Sibilia (lui, per lo meno, si è esplicitamente offerto). Gli strumenti, come detto, sono innumerevoli, dai contratti da prof alle consulenze, strumento già usato per pagare (profumatamente) il Garante. Peccato che, trovandosi all'opposizione, si abbiano meno possibilità del passato. Quando, al di là del tetto dei due mandati, la pratica di ripescare e stipendiare i non eletti era già di moda. Tanti casi grandi e piccoli, uno però emblematico: quello di Giorgio Sorial. Noto per aver dato del «boia» a Napolitano - nel 2020 è stato assolto dall'accusa di vilipendio al Capo dello Stato - nel 2018 non venne rieletto in Parlamento. Luigi Di Maio, suo grande amico, se lo portò però come vicecapo di gabinetto al ministero dello Sviluppo economico. Nel 2021, infine, sempre Di Maio lo piazzò a capo della società del Traforo del Monte Bianco. Dal reddito di cittadinanza alla poltrona di cittadinanza è un attimo.