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Giorgia Meloni ed Enrico Letta, due Italia diverse. Visioni opposte su fisco e riforme

Il pepe arriva solo nel finale. Dura quasi due ore il confronto elettorale tra il presidente di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni e il segretario del Partito democratico Enrico Letta organizzato dal Corriere della Sera e andato in onda ieri pomeriggio su Corriere Tv. Conduttore il direttore Luciano Fontana che, vuoi per il fair play dei due leader, vuoi per la sostanziale noiosità del dibattito, ha gioco facile nel portare a termine senza patemi uno dei momenti più attesi di questa campagna elettorale. Chi si aspettava, tuttavia, i fuochi d'artificio resta deluso.

Meloni e Letta non si risparmiano comunque stoccate, frecciatine e qualche battuta. E pure qualche scintilla non manca. Come sull'energia, quando il segretario Pd dice di puntare sull'elettrico e Meloni lo gela: «Puntare sull'elettrico non è una cosa intelligente, perché vuole dire mettersi in mano alla Cina e intanto perché t' ha lasciato a piedi...». «Non mi ha lasciato a piedi- puntualizza subito il segretario Pd - Abbiamo tre mezzi che vengono usati in modo alternativo. Quindi è una fake news».

  

Verrebbe da ridere, ma i due leader di sorrisi ne concedono pochissimi. Soprattutto Letta. Il confronto del resto traspare soprattutto sobrietà.
Niente spillette con i simboli di partito alle quali siamo abituati nei dibattiti (in certi casi di dimensioni oversize). Meloni e Letta non ne indossano. In compenso, i simboli di FdI e Pd compaiono nei sottopancia. C'è, invece, l'immancabile timer che contraddistingue ogni duello tv che si rispetti: ogni leader ha due minuti e mezzo di tempo per rispondere alle domande, un minuto e mezzo invece per repliche e controrepliche.

«Abbiamo fatto novanta minuti, come una partita», dice alla fine il segretario Pd. Un confronto on line, con la camera fissa su chi è di turno a parlare prevalente sugli «stacchi» o sui campi più larghi (sempre nel senso dell'inquadratura). Poche concessioni allo spettacolo, qualche scintilla - su diritti e rapporti con Ue - e pochi sorrisi, come quando entrambi fanno presente di non vedere più il cronometro e di non sapere pertanto se stanno rispettando i tempi di risposta o meno.

Le distanze tra i due restano invariate, anche se su politica estera e guerra in Ucraina entrambi ribadiscono che la politica estera dell'Italia resterà saldamente ancorata all'alleanza atlantica e all'Unione europea e che le sanzioni alla Russia devono continuare perché stanno funzionando, con Meloni che ribadisce la necessità di prevedere compensazioni per i Paesi maggiormente danneggiati, tra cui l'Italia.

Nella riproposizione dei rispettivi temi portanti della campagna elettorale, Meloni offre alcune coordinate fondamentali nel profilo del governo che potrebbe arrivare dalle urne. Si va dall'Italia «a testa alta» nei confronti di Ue e Nato, al dossier riforme davanti al quale anticipa che «sta per finire l'Italia in cui si fanno le cose solo se le vuole la sinistra». Uno dei momenti in cui il confronto si fa più serrato è quando si parla del tema dei diritti, con Meloni ad assicurare che non vuole cambiare la legge sull'aborto ma che la sua intenzione è applicare integralmente la 194, compresa la parte in cui prevede alternative all'interruzione di gravidanza. Netta contrarietà alle adozioni da coppie omogenitoriali. Quando Enrico Letta controbatte che «conta l'amore», la leader FdI sbotta che «non ci possono fare così i confronti, dai su... che c'entra l'amore, lo Stato non norma l'amore».

Altro momento di confronto diretto è quando il segretario Pd accusa il centrodestra di «negazionismo» sul dossier clima e Meloni si fa sentire da fuori campo mentre lamenta «ma lo potrò dire quale è il mio programma sul clima?». «Lui ha parlato più di me che di quello che vuole fare», rimprovera Meloni a Letta che rivendica il proprio approccio «che qualcuno considera anche troppo fair» per poi ribadire che «non abbiamo alcuna intenzione di aprire altre stagioni di larghe di larghe intese». Insomma, «o sarà maggioranza o sarà opposizione», scandisce il segretario dem. Salvo poi precisare su Fratoianni e Bonelli: «La nostra è una alleanza per salvare la Costituzione, non per governare». Già le riforme. Meloni rilancia il presidenzialismo e l'idea di una Bicamerale per decidere insieme come introdurlo, Letta chiude all'idea, beccandosi la replica del presidente FdI: «La sinistra può cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza come fatto dalla sinistra sul Titolo V o con Renzi...».

Per Letta però il sistema funziona così com' è come dimostra il governo Draghi. Tesi ovviamente contestata da Meloni. Meloni cita Giovanni Paolo II, chiede la tutela delle radici cristiane e il riequilibrio dell'asse franco-tedesco che governa l'Europa, dicendo: «La Germania è contro il tetto al prezzo del gas perché ha un accordo con Gazprom: loro il gaso lo pagano meno». Entrambi sono d'accordo su un sistema che consenta alle famiglie e alle imprese di pagare le bollette, battibeccano su chi ha, tra destra e sinistra, abbia contribuito di più a creare debito pubblico. Letta punta suo diritti civili, cuneo fiscale e sul lavoro, Meloni propone che chi più assume meno tasse paga, ma assicura: «Basta condoni». Avanti così. Fino al 25 settembre.