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M5s spaccato, il deputato Francesco Berti: "Rompere con Draghi non ha senso, in tanti la pensiamo così"

Pietro De Leo

«A me sorprende che al Senato si vada verso il non voto. Se si continua così ci si avvia verso un piano inclinato che è l'uscita dal governo e farlo ora, a due settimane da agosto, non è una scelta opportuna visto anche quel che ha subìto Conte negli scorsi anni». Francesco Berti, deputato del Movimento 5 Stelle, analizza con Il Tempo le dinamiche verso «l'ora x», quando giovedì il Senato si pronuncerà sulla fiducia posta sul Decreto Aiuti. Lì, i pentastellati dovrebbero uscire dall'aula.
«Credo che domani (oggi, ndr) ne sapremo qualcosa di più, ma mi pare la decisione sia quella».

 

  

Onorevole Berti, come lo dobbiamo leggere?
«Come un segnale politico. C'è stato un incontro con Draghi, al termine del quale Conte aveva ribadito l'intenzione di rimanere in maggioranza. Ora, se appena pochi giorni dopo dai un segnale così, sostanzialmente di strappo, non si capisce bene quale sia la direzione».

Se questo strappo si dovesse consumare, nella compagine parlamentare del Movimento tutti seguiranno Conte o ci sarà una scissione?
«È un momento difficile e lo sappiamo. È chiaro che nel Movimento si stanno delineando due linee, molto decise, sul governo: c'è chi vuol rimanere e chi vuole uscire. Anche quelli favorevoli alla permanenza sono tanti. Poi, al momento non so cosa questo significherà».

 

Oggi c'è il voto finale sul Dl aiuti alla Camera.
«E anche lì c'è l'idea di non votare».

Condivide?
«Sinceramente no. Si destinano circa 14 miliardi per le imprese, ci sono misure importanti. Probabilmente farò una scelta in dissenso dal gruppo. Sinceramente vedo un po' in contraddizioni su tutta questa operazione».

In che senso?
«Se voti la fiducia alla Camera, non vedo perché non la dovresti votare al Senato. Così come sulla questione del documento consegnato a Draghi: se proponi dei punti assolutamente condivisibili su cui far nascere una discussione, e poi dopo una settimana di fatto apri una crisi di governo, come fai a discutere?».

Ci si interroga sul destino futuro del Movimento 5 Stelle. Si tornerà alla fase ribellista pura, su cui dall'esterno preme Di Battista, oppure sarà un pilastro di un contenitore di sinistra, che magari guardi all'esperienza di Mélenchon in Francia?
«Noi siamo in Italia, il Movimento 5 Stelle è il Movimento 5 Stelle. Quanto a Di Battista, ha sicuramente dato un grande contributo nella scorsa legislatura, ora sembra solo orientato a lanciare editti dall'esterno. Una collaborazione con lui sarebbe una trasformazione netta rispetto a quello che è stato il Movimento negli ultimi 4 anni e mezzo».

 

Ecco, altro punto chiave. In questi 4 anni e mezzo avete governato prima con Salvini, poi con il Pd e addirittura Renzi, infine con Draghi che è la metafora di quel che voi avete contrastato. Come si fa a spiegare agli italiani che non volete stare al governo per forza?
«Non bisogna stare al governo per forza e io sono il primo a dirlo. Quanto alle maggioranze diverse, non è colpa nostra se Salvini ha fatto cadere il Conte 1. Così come non lo è se Renzi ha fatto cadere il Conte 2. Infine, nel progetto di unità nazionale è stato lo stesso Draghi a dire che il Movimento 5 Stelle doveva essere assolutamente coinvolto».

Allora come si fa a dare un senso alla permanenza in questo governo senza perdere consenso?
«È un ragionamento che si fa concertando l'indirizzo politico. Bisognerebbe magari concentrarsi su poche battaglie, cercando di convogliare gli altri su di noi. Se però si fanno proposte politiche che comportano scostamento di bilancio e spesa pubblica, in un periodo di alta inflazione, è difficile che ciò possa accadere».