panico in parlamento

Onorevoli precari, panico in Parlamento: la lunga lista dei nomi di chi rischia

Carlantonio Solimene

Li chiamano «dead men walking». Uomini morti che camminano. Morti politicamente, si intende. Sono gli onorevoli che già oggi, quando teoricamente mancano ancora otto mesi alla fine della legislatura, sanno con certezza di non tornare tra le mura del Palazzo. E che, di conseguenza, vivono con una certa apprensione - eufemismo - i venti di crisi che spirano intorno al governo Draghi.

Che sarebbe stata una mattanza lo si era capito già quando era stato tagliato il numero dei parlamentari, che passeranno dagli attuali 945 a 600. Ma ieri, ad aggravare i già tetri pensieri dei «precari», è arrivata la simulazione realizzata da Euromedia Research sulla composizione delle Camere dopo le prossime Politiche. Sia che resti l’attuale legge elettorale, sia che si torni al proporzionale, il dato che colpisce è uno. A sopravvivere saranno pochissime formazioni politiche. Solo sei con il proporzionale con soglia di sbarramento al 4% (FdI, Pd, Lega, M5s, Forza Italia e Azione/+Europa). Appena una in più col Rosatellum: la federazione tra Sinistra Italiana e i Verdi.

  

Si può tradurre così: sommando i parlamentari che non sono iscritti alle forze destinate a restare nel Palazzo a quelli falciati dal crollo dei consensi dei partiti di riferimento (vedi M5s, Lega e Forza Italia) ci sono già 495 eletti sicuri di non rientrare. Alla Camera sono 324, al Senato 171. In pratica, la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento.

Si tratta, ovviamente, di un dato soggetto a un’enormità di variabili. Se il centro riuscisse a formare il tanto agognato cartello elettorale, alcune decine di parlamentari oggi spacciati riuscirebbero a strappare un altro giro nel Palazzo. Ma, in realtà, la platea di chi dovrà reinventarsi una vita dopo la politica è molto più ampia di quanto precedentemente stimato. Perché è presumibile che diversi leader decidano di rinnovare profondamente i propri gruppi parlamentari. Come, ad esempio, i «subentrati» Enrico Letta e Giuseppe Conte, ansiosi di liberarsi di parlamentari che, nel 2018, non avevano scelto e con i quali non sono mai entrati in sintonia. Per farsi un’idea, basti pensare che già nel passaggio dalla scorsa legislatura a quella attuale - con una situazione più lineare a più poltrone da assegnare - la percentuale di «conferme» fu appena del 34%. In pratica riuscirono a mantenere il seggio solo 321 eletti. Ebbene, nel 2023 (se ci si arriva) saranno assai di meno.

Si tratta, peraltro, di una compagnia piena zeppa di nomi illustri. In base alla simulazioni della società di Alessandra Ghisleri, se si votasse oggi e le alleanze non cambiassero resterebbero fuori ex premier (Matteo Renzi con la sua anemica Italia viva), ex vicepremier (Luigi Di Maio, con la sua Insieme per il futuro neanche quotata dai sondaggisti), ministri in carica (lo stesso Di Maio, Roberto Speranza, Elena Bonetti) e una pletora di ex: da Pier Luigi Bersani a Lorenzo Fioramonti, da Maurizio Lupi a Teresa Bellanova, da Barbara Lezzi a Gaetano Quagliariello fino a Paolo Romani e Maria Elena Boschi. Insomma, se pure Draghi andasse in crisi, i precari potrebbero per assurdo recarsi da Mattarella e portargli già i numeri e i nomi per un nuovo esecutivo.
Fantapolitica, perché al voto mancano ancora mesi e perché diversi big troveranno collocazione nei cartelli delle coalizioni che si formeranno in vista delle elezioni. Resta, però, il destino segnato di centinaia di peones. Molti dei quali, peraltro, alla loro prima esperienza in Parlamento. Se si volesse fare un discorso economico - e molti lo fanno - la stessa durata della legislatura non è un aspetto secondario. Nell’ipotesi più benevola (scadenza naturale a fine marzo 2023, poi fino a settanta giorni per convocare le urne e un’altra ventina per far insediare il nuovo Parlamento) si potrebbe teoricamente arrivare fino a giugno. Il ché vuol dire un’altra decina di stipendi da onorevole. Roba da 120-130mila euro. Una «buonuscita» comunque confortante.
Un piccolo aspetto positivo già c’é: anche se la crisi di governo si aprisse oggi, tra convocazione delle urne e insediamento dei nuovi parlamentari si scavallerebbe comunque il 22 settembre 2022. Ovvero la «data x» che farà scattare il vitalizio pure per i parlamentari di prima nomina. Per chi ha fatto solo un giro nel Palazzo si tratta di un migliaio di euro al mese da incassare a partire dai 65 anni di età. Poco, per chi fino al giorno prima contribuiva a disegnare il destino del Paese. Ma pur sempre meglio di niente.