decreto aiuti

Governo, passa la fiducia al dl Aiuti ma a Draghi mancano oltre cento voti

Pietro De Leo

Non c'è nulla di più politico dei numeri, quando serpeggia uno stress in una maggioranza anomala, su cui pende l'anno elettorale e l'urgenza per i partiti che ne fanno parte di riscrivere i propri contorni. Se n'è avuto riprova ieri, con il voto sulla fiducia posta sul decreto Aiuti. Passa, la fiducia. Ma il pallottoliere definisce il patema di questa settimana e la stanchezza di un progetto che risente l'usura del quadro così complesso, tra pandemia, guerra, inflazione, gli scatti in avanti di qualcuno su argomenti divisivi (il Pd), i cannoneggiamenti di altri (Conte e quel che resta del Movimento 5 Stelle). Così, ecco servito il tabulato. Alla Camera mancavano all'appello 28 deputati pentastellati, considerando i 103 totali fa un tasso di assenza del 72,8%. Di quei 28,15 sono assenti ingiustificati.

Nel quadro della maggioranza, il Pd è stato il partito più presente, con l'82,51%. Ma è importante segnalare anche i non partecipanti tra le fila della Lega e di Forza Italia. Sul primo versante, 34 su 131 erano assenti. Tra questi, 25 non erano in missione. Tasso di presenza, 75%. In Forza Italia, invece, 26 assenti, di cui 6 in missione e 20 che non hanno preso parte al voto, dunque 68,6% di partecipanti.

  

Al di là dei numeri, assume una certa importanza l'esito sul voto riguardante gli ordini del giorno. Le forze di maggioranza ne hanno respinto uno del Movimento 5 Stelle, che aveva parere contrario del governo, volto a stroncare la realizzazione del termovalorizzatore a Roma (astenuti, nella maggioranza, i deputati che hanno seguito Di Maio e poi Fratelli d'Italia all'opposizione). L'impianto per risolvere i ciclo rifiuti nella Capitale era stato al centro del duello politico tra i pentastellati e Draghi, per quanto poi il tema non comparisse nel documento che Conte ha recapitato al Presidente del Consiglio, propedeutico all'incontro dell'altro ieri.

Accolto, invece, un ordine del giorno sul superbonus, con parere favorevole del governo. L'atto impegna l'Esecutivo a «valutare l'opportunità, compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili e i vincoli di bilancio, nonché con la disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato, a prevedere nel corso del prossimo provvedimento utile l'introduzione di una norma ad hoc, volta a consentire alle imprese edili e i professionisti interessati dagli incentivi fiscali previsti dal Superbonus 110 per cento, la possibilità di optare per la liquidazione dell'imposta sul valore aggiunto».

Tornando alla questione numeri, le defezioni in campo grillino fanno sorgere qualche punto interrogativo sui prossimi passaggi che riguardano il decreto: il primo è il voto sul provvedimento. Il secondo, invece, è il varo da parte di Palazzo Madama, dove non c'è distinzione di pronunciamento tra fiducia e testo. Tuttavia, il punto politico sta anche nelle assenze non giustificate nei gruppi di centrodestra in maggioranza. Non è un mistero che l'area Lega-Forza Italia abbia vissuto con un certo sdegno l'accelerazione nei distinguo che Conte ha impresso al confronto con Palazzo Chigi, sino alle soglie della crisi.

E dunque l'iniziativa volta a ribadire i contorni del proprio peso nella maggioranza («La Lega farà la Lega», ha detto ieri Salvini) assume legittimità, perché nessuno, in questa fase, vuol correre il rischio di fare il comprimario rispetto a un Conte che, nello scontro, ha ritrovato il suo protagonismo, e a un Pd che impuntandosi su ius scholae e legalizzazione della coltivazione domestica della Cannabis ha scelto l'arroccamento ideologico.

Già, i temi identitari ora segnano un forte ambito di protagonismo all'interno dell'assetto di unità nazionale. Oltre ai due provvedimenti sopra citati, c'è il dossier migratorio. E forse non è un caso che Draghi, in occasione del suo incontro con Erdogan, abbia sottolineato la difficoltà per l'Italia di sostenere un trend migratorio in costante aumento, e che rischia di divenire incontrollabile di fronte allo scenario di crisi alimentare che si all u n g a sull'Africa. Un chiaro segnale di convergenza verso le sensibilità della Lega, da mesi in continua frizione con il ministro Lamorgese. Ma di certo non basterà, specie se il confronto con Conte dovesse trasformarsi in un Vietnam quotidiano.