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M5S, Conte sospeso ma vuole comandare. L'avvocato se ne frega dei giudici

Carlantonio Solimene

Il contrappasso del «non partito» sta nel fatto che, nonostante tutti gli sforzi, continua ad aver un «non leader». Il tribunale civile di Napoli ha infatti respinto la richiesta del M5s di revocare la sospensione dello statuto e del capo politico Giuseppe Conte. Ciononostante, i vertici pentastellati hanno confermato l'assemblea degli iscritti che domanie giovedì dovrebbe votare un nuovo statuto «modificato».

Un iter che, però, stante la «sospensione» del direttivo, resta suscettibile di ulteriori ricorsi. La vicenda è giuridicamente complessa e va ripercorsa dal principio. Agli inizi di febbraio, infatti, il tribunale civile aveva adottato la misura cautelativa accogliendo il ricorso di un gruppo di attivisti rappresentati dall'avvocato Lorenzo Borrè. I dissidenti denunciavano il fatto che le votazioni per lo statuto e per il capo politico effettuate nel 2021 non fossero valide perché erano rimasti esclusi gli iscritti da meno di sei mesi - invalidando il quorum - e perché il voto non era stato effettuato sulla piattaforma Rousseau, come prescritto dal precedente regolamento.

  

Dopo lo choc iniziale Giuseppe Conte, con l'avvallo del garante Beppe Grillo, aveva fatto ricorso contro la sospensione - che era cautelativa, in attesa della sentenza sul merito basandosi sull'esistenza di un «fatto nuovo». E cioè il «ritrovamento» di uno scambio di mail tra l'allora capo politico Luigi Di Maio e il presidente del collegio di garanzia Vito Crimi in cui si certificava la prassi di escludere dalle votazioni gli iscritti più recenti, al fine di evitare la nascita estemporanea di «cordate ostili» che falsassero gli esiti. Il tribunale ha però ritenuto tale tesi inammissibile. Perché non è plausibile che una prassi regolamentare fosse ignota ai vertici della stessa associazione che l'aveva promulgata. Tanto più che uno degli interlocutori nello scambio di mail, Crimi, ricopriva lo stesso ruolo di presidente del collegio di garanzia anche all'epoca della votazione del 2021.

Il «fatto nuovo», insomma, nuovo non sarebbe. E cadrebbero così i presupposti per la richiesta di revoca. Come detto, i vertici hanno deciso di andare avanti sulle votazioni di domani e mercoledì nonostante tutto. Nonostante, cioè, ad averle convocate siano tre esponenti-Conte, Crimi e Paola Taverna - che «legalmente» al momento non ne abbiano il potere. Il nuovo statuto che sarà approvato, insomma, sarà sicuramente oggetto di ulteriori ricorsi. Sia da parte degli attivisti ribelli, come già annunciato dall'avvocato Borrè, sia da parte dell'Associazione Rousseau, riguardo le irregolarità nel trattamento deti dati, come confermato da Enrica Sabatini. E la nuova querelle legale potrebbe trascinarsi fino agli ultimi mesi del 2022, gettando un'ombra sulle possibilità di Conte di organizzare la prossima campagna elettorale e le liste dei candidati.

L'unico a poter fare chiarezza sarebbe Beppe Grillo, vigente nel ruolo di garante. Potrebbe ad esempio spingere affinché l'incoronazione di Conte riparta da capo, stavolta seguendo alla lettera i dettami del vecchio regolamento. Ma ci vorrebbero mesi e a quel punto l'incognita sarebbe la preparazione delle prossime Amministrative.

Grillo, peraltro, ieri è rimasto silente, probabilmente frustrato dal fatto che, se la querelle diventasse anche economica, lui resterebbe l'unico responsabile a cui eventualmente i «ribelli» potrebbero chiedere i danni. A meno che nella sentenza sul merito - la prossima udienza è prevista il 5 aprile - il tribunale di Napoli non dia ragione a Conte e torto agli attivisti. Da questo punto di vista, aver ammesso che la prassi dell'esclusione dal voto degli iscritti da meno di sei mesi fosse una prassi consolidata e conosciuta, potrebbe segnare un punto a favore dell'ex premier. Ma le incognite sono tantissime. E la questione si fa sempre più ingarbugliata.