il tempo delle mani pulite

"Il Tempo delle Mani pulite". La storia la scrissero i magistrati segnando la morte della politica

Francesco Storace

Un libro che riavvolge il nastro sulla politica italiana. Come eravamo, potremmo dire leggendo tutte le pagina de “Il Tempo delle mani pulite”, scritte da Goffredo Buccini – penna brillante del Corriere della Sera – edito da Laterza.

Buccini è uno dei protagonisti di una storia trentennale: fu sua la notizia – diventata storia – che nel ’94 informò gli italiani dalla prima del Corrierone dell’avviso di garanzia a Silvio Berlusconi. Era appena diventato premier, presiedeva un’importante riunione internazionale contro il crimine. I magistrati di Milano non lo perdonarono.

  

Per quanto tempo sei stato orgoglioso di aver dato per primo notizia di quell’avviso di garanzia a Berlusconi?
“Orgoglio non è la parola giusta. Pensavo di star facendo il mio mestiere e ancora penso di averlo fatto. Allora ero un cronista e il lavoro di un cronista è trovare notizie: quella era una signora notizia e, una volta accertato che fosse vera, andava data, senza se e senza ma. Naturalmente si poteva e si può discutere (e molto si è discusso) sull’opportunità che la Procura mandasse un invito a comparire a Berlusconi nei giorni di un vertice mondiale sulla criminalità che proprio Berlusconi presiedeva quale premier italiano. La Procura ha sempre sostenuto che la scelta di tempo fosse obbligata dall’indagine. Io ho sempre pensato che la scelta di tempo fosse infelice.”  

E immaginavi che sarebbe accaduto il finimondo?
“Certo che sì. Ed ero anche molto preoccupato. Nel libro racconto anche di quelle ore, dell’ansia, della notte insonne prima che la notizia fosse confermata. Eravamo certi di ciò che pubblicavamo sul Corriere della Sera, ma in un caso così delicato la certezza non è mai abbastanza. Poi ho impiegato anni per togliermi di dosso lo stigma di quella notizia. Ci sono notizie che possono schiacciare un giovane giornalista: e io ero giovane”. 

Quanto ha influito il giornalismo di mani pulite nell’azione dei giudici?
“Certamente l’azione di sostegno che il giornalismo fece in quegli anni è stata molto importante nella creazione di una certa mitologia sull’indagine e sugli inquirenti. Ed è stata anche responsabile di omissioni. Nel libro spiego chiaramente che avremmo dovuto guardare di più e meglio la vicenda e i suoi protagonisti. Eravamo, noi cronisti, giovani e quasi tutti formati a sinistra da ragazzi. Dunque, con un’idea precisa e preconcetta di verità riguardo alla moralità di certi socialisti autonomisti “traditori” della causa, a quella di certi imprenditori che parevano la caricatura della Piovra. Se per strada incontri un’inchiesta che ti dimostra proprio quelle cose, ti convinci che la verità sia tutta lì e non ci sia bisogno di guardarla da altre angolazioni. Sbagliato. E te lo spiego con un esempio. Sergio Moroni, il deputato socialista che si uccise a settembre 1992 dopo un avviso di garanzia, era colpevole, sì, di finanziamento illecito (lui stesso lo ammetteva nella lettera d’addio): ma non era un ladro, non s’era mai messo in tasca un soldo; la verità è una ma ci sono molti modi per spiegarla. Mettere tutti nello stesso calderone è stato uno sbaglio”.     

La politica è cambiata o è rimasta la stessa?
“La politica è morta. Le culture politiche non si sono mai riprese da allora. Trent’anni dopo il sistema è ancora in grave fibrillazione e in piena transizione, non è chiaro verso dove. Va però detto che la politica aveva fatto harakiri. La storia del golpe giudiziario è una balla. Durante tutti gli anni Ottanta i partiti avevano comprato consenso in cambio di debito pubblico e finanziamenti illegali in cambio di appalti truccati. Quando la crisi economica fa scarseggiare i soldi, salta il patto con gli imprenditori. Mani pulite nasce così, altro che golpe”.

Craxi, Berlusconi: trent’anni dopo li rileggi con lo stesso giudizio di allora?
“Craxi è luci e ombre. Ha avuto grandi intuizioni e grandi colpe: l’errore principale è che sei uno statista (e lui lo era) non puoi restare in latitanza con due condanne definitive addosso, stai dicendo agli italiani che dell’Italia non ci si può fidare. Al netto della vicenda giudiziaria, Berlusconi è ancora oggi parte della questione. Trent’anni dopo il Paese continua a dividersi tra berlusconiani e antiberlusconiani. È ora di smetterla e lui dovrebbe fare un passo verso la pacificazione: è l’unico che può farlo oggi tra i protagonisti di allora”.   

Perché la sinistra fu salvata?
“Intanto il Pds milanese fu investito pesantemente dall’inchiesta. Quanto al livello nazionale, penso che abbia fatto molta differenza lo schermo delle cooperative: quelli erano comunisti, non parlavano al primo tintinnio di manette, Greganti lo dimostra. E comunque il Pds fu miope, perché nessuno si è salvato. Una simile frana ammazza tutta la politica, senza superstiti”. 

E la magistratura? Davvero siamo tutti colpevoli e se assolti l’abbiamo semplicemente fatta franca?
“Quella è una (infelice) iperbole di Davigo che molti citano in modo strumentale. Direi però che la magistratura ha seguito lo smottamento della politica. È diventata pura lotta per il potere, le sue correnti stanno disorientando l’opinione pubblica, creando sfiducia tra la gente. E questo è molto pericoloso in termini di tenuta sociale”.  

Vedere Piercamillo Davigo sotto indagine che effetto ti fa?
“Premetto che considero Davigo un servitore dello Stato. Perciò provo tristezza. Citerei Aznavour: il faut savoir, devi sapere quando alzarti dal tavolo con grazia. Lui non ci è riuscito a tempo debito e gli stanno mettendo in conto trent’anni, non merita una demonizzazione ad opera per lo più di carneadi. Eviterei di cercare un altro capro espiatorio nella storia”.

Ogni anno mille innocenti - lo dicono i processi con le sentenze - vengono assolti. Il tempo non sembra cambiare mai 
“Il tema è ancora tutto sul tavolo da trent’anni (anzi da prima, se pensi al caso Tortora), in attesa di una revisione complessiva. Però la politica è troppo debole per affrontarlo, ha paura della gente: quindi passa ancora da eccessi di giustizialismo feroce a forme di garantismo peloso, si invoca tolleranza zero ma solo contro chi non ci sta simpatico. Occorre equilibrio, una dote che nel panorama politico contemporaneo sembra quasi del tutto assente”.

Il cittadino comune che assiste allo spettacolo che rivoluzione deve ancora attendere?
“Il cittadino potrebbe imparare prima o poi a non delegare la rivoluzione a qualche mallevadore cui poi attribuire tutte le colpe dei fallimenti nell’arco di una stagione. Per ricondurre la magistratura nel suo alveo forse basterebbe smettere di invocarla quale supplente quando non riusciamo a riformarci per via politica per poi demonizzarla a causa delle sue invasioni di campo. Lo Stato siamo noi non è uno slogan, è un programma per un domani migliore”.