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La partita di Draghi, tutti i retroscena della corsa al Quirinale

Angelo De Mattia

Due punti della conferenza-stampa di Mario Draghi tenuta mercoledì meritano delle osservazioni. Il primo riguarda il suo futuro connesso, ovviamente, con quello del Parlamento, del Governo e del Quirinale. Draghi ha fatto bene a sottolineare, ripetendo ciò che aveva già detto, come sia offensivo continuare a discettare su di una eventuale sua ascesa al Colle, mentre è pienamente in carica (e, aggiungiamo, validissimamente) Sergio Mattarella. Ma, soprattutto, con una mossa azzeccata, ma solo tatticamente, ha soggiunto che su questi argomenti le domande non vanno rivolte a lui perché altri sono gli organi competenti a decidere, a cominciare dal Parlamento il quale stabilisce l'orizzonte e la vita nonché valuta l'efficacia di questo Governo. Con ciò implicitamente non escludendo che le Camere potrebbero decidere la fine di questa esperienza di Governo, per ragioni di «vita» o di efficacia, per cui si aprirebbe la strada verso il Colle. Oppure, secondo alcuni, il Parlamento potrebbe eleggere al Quirinale il personaggio che poi sciolga le Camere, ponendo fine alla legislatura e consentendo così il ricorso al voto.

Queste e altre ipotesi che si possono immaginare, in specie se in possesso di una fervida fantasia, possono convalidare la tesi di Draghi per gli sviluppi della situazione nei prossimi quattro/cinque mesi: non chiedetelo a me. Ma il Premier certamente ha una visione di quel che «farà da grande». Il «non chiedetelo a me» regge se la forma corrisponde alla sostanza e se questo tema è bandito anche negli incontri informali con la stessa formula adottata in pubblico. E, allora, la sua risposta comunque dovrebbe essere integrata da un forte invito a non affrontare più questo argomento e a evitare schieramenti che si formino nel suo nome e che poi propongano per lui cariche diverse «inaudita altera parte», ma con il recondito fine di apparire, essi, in primo piano e di far «carriera» come sostenitori di Draghi. In ogni modo, si amplia, pure per questo tema, la distinzione, da diverse parti rilevata, tra Governo e forze politiche, come se il primo fosse una specie di «amministratore delegato» collettivo che deve essere valutato solo a consuntivo, mentre nel «durante» il manovratore non va disturbato. È una concezione, questa, alimentata pure dalle frequenti dichiarazioni del Premier sui partiti come posti su di un binario molto distante dal Governo, che certamente innova tacitamente (e senza reazioni) nei rapporti tra poteri dello Stato, organi costituzionali e forze politiche. E senza alcuna seria elaborazione alle spalle, ma come frutto di improvvisazioni e di conseguenze dello stato di eccezione che ha condotto alla nomina del Premier.

  

L'altro punto delle accennate osservazioni riguarda la politica economica espansiva che opportunamente l'Esecutivo conferma. Ma a partire dal 2023 si prevede un calo della crescita del Pil dal 6 per cento dell'anno in corso al 2,8 per scendere ancora all'1,9 nel 2024. Tuttavia proprio in questi due anni sarà vigente, dopo la sospensione, il Patto di stabilità. Qual è la posizione del Governo sulle necessarie modifiche di questo Patto e degli accordi intergovernativi connessi? Ragioni tattiche possono portare a un qualche riserbo. Ma, quantomeno, in linea generale è doveroso informarne Parlamento e cittadini.