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Otto e Mezzo, Enrico Letta e la sentenza sulla trattativa Stato-Mafia: "Prendo atto ma farà discutere". Sinistra sotto choc

Giada Oricchio

"Sorpreso". Così si definisce Enrico Letta, segretario del Partito Democratico, in merito alla sentenza della Corte d’assise d'appello di Palermo che ha assolto "per non aver commesso il fatto"l'ex senatore Marcello Dell’Utri e perché il "fatto non costituisce reato" gli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno nel processo sulla trattativa Stato-Mafia. Un clamoroso capovolgimento della sentenza di primo grado.

Ospite di Lilli Gruber a “Otto e Mezzo” su LA7, il numero uno del Pd ammette: “C’è sicuramente sorpresa per il rovesciamento rispetto agli altri gradi di giudizio, ma non mi appartengono le polemiche politiche quando si tratta di commentare le sentenze. Certo prima di dire qualcosa bisognerà leggere le motivazioni dei giudici. Una cosa la posso dire: sarà una sentenza che farà molto discutere”.

  

La sentenza riscrive, di fatto, gli ultimi 30 anni di storia dell’Italia. Se il 20 aprile 2018 la sentenza di primo grado nell'aula bunker dell'Ucciardone aveva dato ragione alla ricostruzione della procura di Palermo, dei pm antimafia che non hanno mai arretrato un millimetro sull'impianto accusatorio, il dispositivo letto nel bunker del Pagliarelli, ha rovesciato il film di tragica storia d'Italia, dal 1992 al 1994. Dopo 76 ore di camera di consiglio, la corte d'assise d'Appello di Palermo presieduta da Angelo Pellino, giudice a latere Vittorio Anania, ha emesso una storica sentenza su quello che i giudici di primo grado hanno definito "un patto scellerato" fra alcuni pezzi dello Stato e la mafia di Totò Riina e Bernardo Provenzano durante la stagione delle stragi del 1992 e 1993.

Assolti gli allora ufficiali del Raggruppamento operazioni speciali dei carabinieri il generale Mario Mori, il generale Antonio Subranni e il colonnello Giuseppe De Donno, in primo grado condannati rispettivamente a dodici, dodici e otto anni, assolto l'ex senatore Marcello Dell'Utri (condannato in primo grado a 12 anni) e ridotta la pena per il boss Leoluca Bagarella, l'unico rimasto in vita e dunque processabile fra i capi dei corleonesi. Da 28 a 27 anni grazie alla riqualificazione del reato in tentata minaccia al corpo politico dello Stato limitatamente al periodo precedente al governo Berlusconi. Unica conferma i 12 anni ad Antonino Cinà, il medico fedelissimo di Totò Riina che secondo l'accusa fu il messaggero fra la politica e cosa nostra (consegnò il papello di Riina) nella prima parte della presunta trattativa nel 1992 e 1993.

"E' evidente - commenta Letta dalla Gruber - che parte di sorpresa c'è per il rovesciamento rispetto agli altri gradi di giudizio, ma su temi così complessi serve leggere le motivazioni e i ragionamenti fatti. Sicuramente sarà una sentenza che farà molto discutere, non ho nessun dubbio".