l'allarme

Attenti dietro c'è la Cina, il retroscena di Frattini sull'Afghanistan

Gaetano Mineo

Solo la Russia, l’India e i Paesi Arabi possono arrestare la «conquista» dell’Afghanistan da parte della Cina. Viceversa, sarebbe il difficoltà l’intero Occidente. Franco Frattini ci descrive un dettagliato scenario di quello che sta accadendo in Afghanistan. Il due volte ministro degli Esteri nei governi Berlusconi, accende i fari anche su un probabile ritorno del terrorismo mentre è certo che si profila una grossa ondata di profughi.

Presidente Frattini, dopo 20 anni, sembra non essere cambiato nulla in Afghanistan.
«È cambiato che le forze internazionali hanno addestrato circa 300mila militari afgani che mai avevano ricevuto un’istruzione militare. È cambiato che molti afgani hanno assaporato una vita non dominata dal Medio evo e dall’oscurantismo. Basti pensare, da come leggo sui giornali, che il figlio del "Leone del Panshir", Ahmad Massud, un giovane 35enne che ha studiato in giro per il mondo, vorrebbe dire "adesso tocca a noi difendere il nostro Paese", il che significa una presa di coscienza che a noi fa piacere. Un fallimento terribile invece è stato che gli afgani dovevano ancora essere accompagnati per lunghi anni verso il consolidamento della normalizzazione. E ciò l’hanno capito i russi che conoscono bene gli afghani. Conoscono bene gli afghani anche i pakistani. Il Pakistan di chi è grande alleato? Della Cina, che in questo momento sta sommergendo lo stesso Pakistan e i talebani di denaro e non so di cos’altro. Un’alleanza diabolica Cina-Pakistan vuol dire consegnare l’Afghanistan alla Cina».

  

Si può parlare di sconfitta di Joe Biden?
«Si può certo parlare dello storico e clamoroso errore delle amministrazioni americane degli ultimi anni. A partire dagli annunci trionfanti di Donald Trump che diceva di "accordo fatto con i talebani". Da qui il ritiro delle truppe Usa dall’Afghanistan. Certo, Biden ha sbagliato tutto in questa fase, seguendo i tempi dettati da Trump. Il presidente Usa doveva calibrare la tempistica».

Cosa si dovrebbe fare?
«La comunità internazionale non può abbandonare l’Afghanistan. La Cina ha un interesse vitale in Afghanistan di cui nessuno parla. In questo Paese c’è la riserva di minerali sotterranei maggiore del mondo. Nel momento in cui i cinesi si impadroniscono, legalmente, delle concessioni minerarie afghane, mettono India e Giappone con le spalle al muro, mettendo di conseguenza con le spalle a muro l’intero Occidente. Poi bisognerebbe creare una convergenza tra tutte le regioni afghane che vogliono una stabilità. Noi saremo costretti a tornare in Afghanistan ma non con gli eserciti di prima, bensì con un aiuto costante, permanente, quello che noi europei chiamiamo "soft power". Dobbiamo poi avvalerci di Russia, Paesi Arabi e India, Paesi in grado di dire alla Cina e al Pakistan "basta, ora si parla"». 

 

 

 

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Fra poche ore ci sarà una riunione d'emergenza dei ministri Esteri Ue.
«Faranno battute, poche cose, sono stato in migliaia di vertici europei di ministri degli Esteri. L’unica cosa concreta che può venire fuori da questo vertice è la decisione di una missione di peacekeeping (mantenimento della pace, ndr) che porterà in Afghanistan tanto denaro con il Recovery Fund, che prometta a un governo legittimo, che potranno fare Russia, India e Paesi Arabi, che noi li aiuteremo con l’institution building».

L’attuale scenario in Afghanistan potrebbe ridare fiato al terrorismo?
«Oggi i talebani non hanno la forza di sferrare un attacco terroristico in occidente. Ma cosa succede da qui a cinque anni? Quindi bisogna intervenire ora. Tuttavia, è chiaro che l’Isis non sta con le mani in mano. E se per caso facessero un accordo? Si dessero coperture reciproche? In sostanza, fra qualche anno cosa può succedere se non si fa nulla?».

C’è già chi lancia l’allarme profughi.
«Ne arriveranno tanti. Molti non ce la faranno, perché devono attraversare le zone più pericolose del mondo. D’altronde, quando alcune ambasciate come quella turca e tante altre, rimangono aperte per i visti, è chiaro che si prospetta una grossa ondata di profughi».