verso il voto

Dieci buoni consigli a Enrico Michetti per vincere le elezioni a Roma

Francesco Storace

Dice il direttore: «Ma come dovrebbe fare la campagna elettorale Enrico Michetti?». E in effetti questo è il cuore della questione. Proprio perché Michetti è un «civico» – e «civica» è pure la sua vice, Simonetta Matone – ci vuole un vademecum per condurre al meglio una cavalcata vittoriosa in mezzo a milioni di romani. E chi ne ha fatte una marea di campagne elettorali può tentare di suggerire come evitare le insidie. Almeno quello che ci ricordiamo...

1. A Roma si voterà probabilmente in due turni. Certo, ogni candidato strillerà «vinciamo subito al primo turno» ma non gli crederà nessuno. Il problema in questo tipo di competizione è sempre uno: come arrivare al ballottaggio. Michetti si faccia dare anzitutto il telefono dei portatori sani di voti, che sono i signori delle preferenze, consiglieri comunali e regionali. Sono loro, ancor prima dei parlamentari nominati, i depositari del consenso popolare. Chi è abituato a macinare preferenze su preferenze è prezioso, bisogna individuare i candidati in grado di radunare popolo ai loro eventi.

  


2. Il candidato del centrodestra allestisca una segreteria seria per fissare gli incontri con puntualità, perché la gente è ancora innervosita dalla pandemia e si stanca ad aspettare. Pretenda incontri affollati e «geolocalizzati». Roma è enorme e un candidato sindaco non può stare ore in mezzo alla strada per andare da un quartiere di Roma nord a Roma sud perché gli hanno fissato un incontro ogni venti minuti. È il candidato che deve dettare l’agenda, non il contrario. Avvertenza: lasci stare le raccolte di fondi, di questi tempi sono rischiose. E si doti di un autoTrojan per stare tranquillo con la magistratura.

3. Se è davvero un tribuno, Michetti scelga uno slogan secco tipo «Ecce Roma» e faccia spot a raffica su radio e tv col vocione: ogni spot su una cosa da fare per la città (mi raccomando niente Ztl con la biga). Il popolo, dopo cinque anni di assenza del Campidoglio dai problemi reali, ha bisogno di certezze. A partire dai rifiuti, che scandalizzano davvero la città. Lo spettacolo dell’immondizia che campeggia per le strade deve finire. Come finirà sarà davvero l’impegno che tutti si attendono dal prossimo sindaco di Roma. La Raggi dovrà stare zitta. E i candidati amici di Nicola Zingaretti, Gualtieri e Calenda, faranno bene a tacere per intelligenza col nemico.

 


4. I dibattiti con mille candidati a sindaco sono inutili. Accetti solo quelli con Virginia Raggi, Roberto Gualtieri e Carlo Calenda spiegandogli perché dovrebbero sparire. Nelle prime uscite Michetti tiene a manifestare un certo ecumenismo, ma di fronte avrà specialisti della disinformazione e in campagna elettorale non si fanno prigionieri. La lingua che ha la deve usare per fulminarli. Roma ha una rabbia enorme in corpo a cui bisogna dare rappresentanza.
 

5. Vittorio Sgarbi è certamente un buon colpo perché la Capitale ha nella cultura la carta principale per risorgere. Se c’è un giacimento su cui investire è quello turistico e uno come Sgarbi può saper far funzionare allo scopo proprio la macchina della cultura. Ma siccome è al solito abbastanza estroverso, Michetti gli dica di limitarsi a fare l’assessore dopo e non prima: meglio evitare casino con i nomi sbattuti sui giornali. Il sindaco è uno, lo vota il popolo.
 

6. Simonetta Matone è un nome eccellente della città e Michetti, che farà tandem con lei, le chieda di capeggiare la lista civica che immagino ci sarà. La Matone merita almeno la soddisfazione di entrare in consiglio comunale. Poi se si vince lascerà il posto in aula Giulio Cesare al primo dei non eletti. Entrambi se ne freghino di chi li odierà, delle scritte sui muri, degli insulti sui social, delle diffamazioni sui giornali: se c'è la curva nemica, sarà più facile mobilitare quella amica. Che poi è quella da motivare. Guai a tentare di piacere a tutti. Non veniva mai eletto quello che diceva «tanto i nostri ci votano». Macché: finiva che perdeva i consensi di qua e di là. L’ascia di guerra è essenziale contro chi ti considera un nemico. 
 

7. Il programma elettorale non deve rappresentare l’affanno principale della squadra di governo. Anzitutto perché nessuno li legge e nemmeno li calcola. Poi perché si presenta formalmente con le liste elettorali. E poi perché tanto è sostituito da interviste, post e tweet. Meglio concentrarsi sul linguaggio da adoperare. In questo Matteo Salvini e Giorgia Meloni sono maestri. E una capatina ad Arcore da Silvio Berlusconi non sarebbe male. Il programma andrà comunque costruito e depositato con l’ascolto di categorie e quartieri.

 


8. I partiti che sostengono il candidato del centrodestra hanno nelle loro agende liste enormi di personaggi popolari. E sanno chi è stanco dell’andazzo dell’amministrazione comunale. Ogni giorno ci vuole un evento simbolo con un personaggio popolare della città, un attore, uno sportivo, un parroco, ma anche medici, professionisti del territorio e della produzione. Rappresentano il cuore di Roma. Da uno come Enrico Montesano, ad esempio, bisogna andarci e dirgli di scendere da casa a dare una mano. 
 

9. Non si impicci dei candidati alle presidenze dei Municipi. A Roma sono 15, grandi come importanti capoluoghi, con loro dovrà governarci se vincerà. Ma lasci sfogare i partiti che dovranno portargli i voti: la formula civico più civico ha bisogno di robusto impegno degli amministratori, politici, di centrodestra. Faccio un esempio: nel Municipio dove risiedo c’è un consigliere come Massimiliano Pirandola che conosce tutti, pietre e mercati. Ce ne sono assai così in tutta Roma. Per tanti di noi rappresentano il primo motivo per tornare alle urne. Se stanno col candidato sindaco in prima fila è un buon viatico.
 

10. Infine, non dia retta a quelli che dicono andiamoci piano con i manifesti. Ne vanno stampati e affissi in quantità industriale ad una sola condizione: evitare quelli abusivi. Sia una campagna di manifesti caratterizzata da una voglia di legalità, pagando gli spazi comunali e quelli autorizzati. E tanto social. Lì lo staff dovrà essere di primordine. Guai a non rispondere a chi scrive e fa domande, certo non a chi si diverte ad insultare. E se ogni sera, una o due ore prima di andare a dormire, ci penserà anche il candidato, sarà una propaganda enorme. Facebook, twitter, instagram, usati con accortezza, sono muri da cui nessuno può staccare manifesti.