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Taglio dei parlamentari, lo schiaffo della Consulta al "no"

Respinti i 4 ricorsi: si voterà regolarmente il 20 e il 21 settembre

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Il referendum sulla riforma costituzionale che taglia il numero dei parlamentari si terrà regolarmente il prossimo 20 e 21 settembre. Il via libera è arrivato dalla Corte Costituzionale che ha dichiarato inammissibili i quattro ricorsi presentati, sollevati per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato dal Comitato promotore del referendum, dalla Regione Basilicata, dal senatore Gregorio De Falco e da +Europa.

In particolare, la Corte Costituzionale, relatore il giudice Giuliano Amato, ha dichiarato «inammissibile il conflitto sollevato dal Comitato promotore del referendum sul testo di legge costituzionale riguardante il ’taglio dei parlamentari' avente per oggetto l’abbinamento delle due votazioni, disposto dal decreto legge n. 26 del 2020 e dal Dpr 17 luglio 2020». Infatti, come spiega una nota della Consulta, «il Comitato promotore non ha legittimazione soggettiva a sollevare questo conflitto, dato che la Costituzione non gli attribuisce una funzione generale di tutela del miglior esercizio del diritto di voto da parte dell’intero corpo elettorale». Inoltre, i giudici costituzionali, relatore Giovanni Amoroso, hanno dichiarato «inammissibile il ricorso proposto dalla Regione Basilicata con riferimento sia all’avvenuta approvazione definitiva, l’8 ottobre 2019, del testo di legge costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari, sia al Dpr del 17 luglio 2020 di indizione del referendum popolare confermativo». In linea con la propria giurisprudenza, la Consulta ha infatti «escluso la legittimazione soggettiva degli enti territoriali in generale e della Regione in particolare, perché non sono potere dello Stato, ai sensi dell’articolo 134 della Costituzione».

Con riferimento al ricorso presentato dal senatore De Falco nei confronti del Senato, del Governo e del Presidente della Repubblica, la Corte Costituzionale, relatore il giudice Nicolò Zanon, ha ritenuto che «esponesse, in modo confuso e incoerente, critiche alla legge elettorale, alla riforma costituzionale, all’accorpamento delle consultazioni, all’utilizzo dei decreti legge e, infine, al procedimento di conversione in legge degli stessi, sovrapponendo argomenti giuridico-costituzionali tra loro ben distinti». Inoltre, «pur sostenendo la violazione di plurimi principi costituzionali inerenti sia il procedimento legislativo sia quello di revisione costituzionale, il ricorso non ha chiarito quali attribuzioni costituzionali del singolo parlamentare siano state in concreto lese nel corso di questi procedimenti». Perciò è stato giudicato inammissibile.

Infine, con il conflitto promosso da +Europa, nella sua veste di partito politico, veniva contestata in particolare la previsione contenuta nel dl n. 26 del 2020 che riduce a un terzo il numero minimo di sottoscrizioni richiesto per presentare liste e candidature nelle elezioni regionali. Secondo +Europa, omettendo di prevedere, in favore dei partiti già presenti in Parlamento, una deroga all’obbligo della raccolta delle sottoscrizioni, il legislatore avrebbe leso le sue attribuzioni costituzionali in quanto partito politico. L’inammissibilità del conflitto, relatrice Daria De Pretis, deriva per la Consulta dal «difetto di legittimazione della ricorrente associazione, in base alla costante giurisprudenza costituzionale che nega ai partiti politici la natura di potere dello Stato». 

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