resa dei conti

Pd e Italia Viva si scannano. La mossa di Renzi è con Berlusconi

La guerra fra "ex" continua. Dopo il pensiero di Andrea Orlando affidato a un tweet in cui il vicesegretario Pd, numeri alla mano, con un sondaggio di Bidimedia fa notare che senza tre scissioni il Partito democratico avrebbe le stesse percentuali della Lega, arriva la replica, piccata, di Italia Viva. "Iv non accetta lezioni" da chi ha fatto "la guerra atomica quando con Renzi avevamo il 41% dei voti reali", mette nero su bianco Davide Faraone. Non basta.

Il capogruppo al Senato di Italia Viva va oltre e accusa il Pd di non essere più da tempo "la casa dei riformisti", casa che Faraone avrebbe intenzione di costruire con quanti riformisti lo sono, ma non si trovano (ancora) in Italia Viva. Leggi: gli scontenti dem dentro il Pd, i transfughi come Carlo Calenda e Matteo Richetti, ma anche Emma Bonino fino a chi è riformista ma ha votato "perfino altre coalizioni" vale a dire il centrodestra. Il nome di Mara Carfagna è quello che ricorre più spesso, come quello di Marco Bentivogli che ha da poco lasciato il sindacato in cui ha militato per anni. Il progetto di Italia Viva è chiaro: essere il perno fondamentale della "casa dei riformisti", come dice un maggiorente del partito guidato da Renzi. Ed è lo stesso senatore fiorentino a dire pubblicamente che "se fosse in Forza Italia troverebbe più logico stare con Iv che con Salvini".

  

Se non una dichiarazione di guerra al partito guidato da Nicola Zingaretti, poco ci manca. A far da pompiere questa volta è Andrea Marcucci, il più renziano dei Democratici. "Le scissioni del passato sono un tema di dibattito accademico. Quel che conta è che Il PD resti un partito aperto e accogliente. Io sono convinto che il riformismo resti il vero motivo d'essere della nostra comunità e del nostro agire politico", dice il capogruppo dem in Senato. Toni più miti sono utilizzati dallo stesso Faraone che, dopo un intervento al vetriolo sull'Huffington post, definisce un "dibattito da Amarcord" quello sulla scissione. Interviene poi lo stesso Renzi da Marina di Grosseto durante la presentazione del suo ultimo libro. "Non ho una visione del Pd negativa o polemica - dice il leader di Iv in versione zen-. Non ho mai avuto un rapporto migliore con Zingaretti come in questo periodo. Se Zingaretti e Orlando vogliono parlare di economia, lavoro e imprese ci sono, se vogliono fare polemiche interne che tanto affascinano i dirigenti del Pd non ci sto".

L'ex premier-segretario ricorda di appartenere a quelli che "hanno subito" la scissione (di Bersani and co.) e non nega di essere venuto via dal Pd in quanto "certe culture come quella giustizialista, messe ai margini dalla nostra segreteria, sono tornate fuori".

Il vaso di Pandora è scoperchiato: per i renziani il Pd si è appiattito sul populismo dei Cinquestelle, perdendo la spinta riformista delle origini. Sull'Huffington è proprio Faraone ad andare a testa bassa contro la vecchia guardia del Pd. "È ricominciato il campionato e sono ricominciati quelli della moviola in campo - attacca -. Se avessimo fatto, se non avessimo sbagliato. L'antico riflesso supponente di una certa sinistra nel nostro Paese. Quelli con le mazzette di giornale sotto al braccio che partecipano alle discussioni politiche con l'arroganza di chi sa tutto lui e ti indica la via". Fra i nodi rimasti irrisolti c'è il decreto Semplificazioni, su cui i demo fanno resistenza a differenza del nuovo asse Iv-M5S che spinge per portare avanti il 'modello Genova' che tradotto per i renziani è anche 'modello Expo' e 'Pompei'.

Sullo sfondo tanti temi che scottano, a partire dalle alleanze alle Regionali per finire con la legge elettorale. Su questo punto, il Partito guidato da Nicola Zingaretti a favore di un proporzionale con sbarramento al 5% ha compiuto una giravolta incomprensibile per gli ex compagni di partito: "La battaglia per il maggioritario era quella di Veltroni, che fine ha fatto?", ragionano i renziani. Ma Faraone è possibilista. "A giorni faremo una riunione di maggioranza con PD, Leu e M5S. Ci sederemo attorno a un tavolo e decideremo quel che è meglio", annuncia fiducioso. E avverte: "Non credo che le forze politiche di maggioranza che hanno fatto un patto con noi possano pensare di arrivare in Parlamento il 27 luglio a dire o si vota così o niente. Altrimenti verrebbe meno il senso della convivenza comune pur nelle difficoltà, il senso dello stare insieme".