analisi

L'esecutivo non è un centro studi

Angelo De Mattia

Gli Stati Generali della discordia, così sembrerebbe dopo che se ne ipotizza il rinvio da domani alla metà della settimana, per i contrasti insorti all’interno della maggioranza. L’iniziativa rischia di morire non appena concepita. Il fatto è che sia chi li vuole subito, sia chi ne chiede lo spostamento sono di fatto uniti, involontariamente, su di un punto: la mancanza di un progetto organico da sottoporre al dibattito tanto che, a questo punto, in alcune varianti il convegno viene presentato come un’occasione di solo ascolto.

Insomma, fino a che si tratta di indicare gli argomenti da affrontare redigendone una elencazione - dalla sburocratizzazione, alla ricerca e innovazione; dalla scuola agli investimenti; dalle infrastrruttrure alla digitalizzazione; dalla giustizia all’uso del denaro pubblico - non sorgono problemi, essendo difficile che vi sia qualcuno che si opponga a una tale agenda. I problemi sorgono quando occorre, sia pure per un programma di non ravvicinata prospettiva, indicare selettivamente le priorità, quell’insieme di misure che costituiscano il «primum movens», e contemporaneamente il modo di reperimento delle necessarie risorse, nonché i tempi del loro impiego. Un governo ha il dovere di formulare una serie di proposte precise; non è un centro-studi. Se aderisce all’esigenza, giustamente prospettata, di dare vita a un «contratto sociale» per affrontare le sfide del nuovo mondo mentre si allenta la pandemia sperando in una sua sconfitta, allora fa bene a chiamare le parti sociali e tutte le espressioni della società civile a confrontarsi, ma non su elencazioni, né su proposte sfornate all’ultimo momento da un Comitato scientifico, bensì su di una precisa linea di politica economica. Questa non può che essere definita dallo stesso Esecutivo nella collegialità delle sue componenti e, auspicabilmente, nel confronto con l’opposizione, ferme restando le distinzioni di poteri e responsabilità. Per la riuscita di iniziative della specie sono fondamentali la credibilità, la convinzione diffusa che non si tratti dell’oggi spesso evocato «libro dei sogni». È il caso di dire «res, non verba», non parole.

  

 

Ma siamo a questo punto? Allora, bisogna partire dalle categorie concettuali che segnalano i problemi con i quali oggi ci confrontiamo e che avranno una lunga scia, problemi che sono, per le imprese, la produttività totale dei fattori, la competitività, l’innovazione e, corrispettivamente, il lavoro, lo studio, la ricerca, il crescente disagio sociale, l’ingrossarsi delle file degli emarginati. A fronte di tutto ciò, vi sono il bilancio pubblico e le risorse che possono provenire dall’Europa. È da queste premesse che discendono le misure in tema di investimenti pubblici e privati, di infrastrutture e di composizione del bilancio pubblico. Molto dipende da come si intende partire. Provocherebbero un particolare effetto-annuncio una riforma dell’amministrazione pubblica fondata, sì, su misure derogatorie d’urgenza, ma che siano affiancate da una revisione strutturale delle funzioni e dei rapporti con l’utenza e poi la promozione di una organica riforma fiscale rafforzando, però, sin d’ora l’azione di contrasto dell’evasione e dell’economia sommersa, nonché l’avvio di un programma di interventi infrastrutturali sull’intero territorio nazionale eco-sostenibili. Il lavoro deve trasversalmente attraversare tutte le possibili iniziative, da articolare nella loro sequenza temporale. L’appello ai diversi soggetti sociali, a cominciare dal terzo settore e in generale dal non profit, è fondamentale. Tutto ciò non significa porre in secondo piano il «punctum dolens» principale che è il debito. Ma occorre riportare la dinamica del prodotto, come segnala il Governatore Ignazio Visco nelle recenti Considerazioni Finali, intorno all’1,5% facendo leva sulla produttività del lavoro: sarà il modo per contribuire ad agire positivamente sul debito. Non basterà, tuttavia, se si dovesse immaginare in Europa di ripristinare, quando si riterrà cessata la sospensione del Patto di stabilità e crescita, la precedente formulazione di quest’ultimo. Per l’immediato, purtroppo, abbiamo di fronte i due scenari della caduta dell’attività produttiva nell’anno rispettivamente del 9% e del 13, con recuperi di diversa entità nel prossimo anno, a seconda degli scenari. Ecco, dunque, la somma urgenza di legare con coerenza misure per l’immediato a quelle di medio termine. E qui viene in ballo la politica, che dovrebbe avere la maiuscola, e dimostrare saldezza e coesione che non si possono chiedere agli altri se manca in casa propria. Tanto meno si può essere rigorosi con l’Unione, i cui ordinamenti e la cui azione effettivamente abbisognano anch’essi di sollecite riforme, ma non esserlo a livello nazionale. Deve avere fine una condotta che spesso evoca il celebre ovidiano: «Video meliora proboque, deteriora sequor».