imprese a pezzi

Con lo Stato che continua a latitare regaliamo l'economia alla malavita

Franco Bechis

Ieri mattina la Guardia di Finanza ha sequestrato a Roma quattro locali che secondo la Dda appartenevano in realtà a una famiglia mafiosa. Mentre l'operazione stava avvenendo, si è scoperto che durante le settimane di lockdown questa stessa famiglia era riuscita ad acquistare altri tre esercizi divisi in quattro punti vendita. Fra questi anche un bar in via del Corso. Questo non è uno slogan per una campagna politica o giudiziaria: è la vera Mafia Capitale. Ma quel che solo ieri è venuto a galla conferma per la prima volta con gli atti di una inchiesta quello che temeva (lo ha spiegato in una intervista a Il Tempo) il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho: molti pezzi del sistema economico nazionale, e in particolare interi settori della rete commerciale, sarebbero passati in mano alle mafie per la crisi da coronavirus. Per approfondire leggi anche: Dietro al bar i soldi dei clan: sequestro milionario a Roma A Roma questo è accaduto, ma è stato sventato. Questo ci dice una cosa: lo Stato c’è, perché esiste la Dda, esistono la Guardia di Finanza, la Polizia, i Carabinieri, le forze dell'ordine. Per fortuna sono tornate a fare a pieno ritmo il loro mestiere, dopo essere state distratte per lunghissime settimane dall'impiego improprio in posti di blocco per multare i cittadini che si facevano una passeggiata oltre l'isolato concesso dai vari dpcm di Giuseppe Conte. Ma lo stesso episodio racconta l'esatto opposto: lo Stato non c'è, e proprio la sua assenza e impotenza lascia campo libero alle mafie, che invece ci sono e sanno approfittare di quel vuoto. Lo Stato non c'è perché ha messo ko milioni di cittadini con i suoi provvedimenti di chiusura delle attività economiche così restrittivi che l'Italia è stato il paese al mondo che ha avuto il peggiore contraccolpo economico (e non è stato il più colpito dal virus). Lo Stato non c'è perché ormai a due mesi di distanza dal primo decreto economico di emergenza, il Cura Italia del 17 marzo scorso, non si è riusciti a dare i 600 euro di marzo al 20% degli aventi diritto, non si è corrisposta la cassa integrazione ordinaria al 20% dei lavoratori che non hanno avuto lo stipendio, non è arrivata nemmeno l'80% della cassa integrazione in deroga. Lo Stato non c'è perché ha preso in giro tutti sostenendo di avere varato ai primi di aprile un «poderoso» intervento per dare 400 miliardi di liquidità alle imprese piccole, medie e grandi. A ieri sera - dopo più di un mese - la Sace aveva offerto garanzie per circa 100 milioni di euro di finanziamenti, e cioè lo 0,025% del totale. Le pratiche in elaborazione invece riguardavano in tutto 11,4 miliardi di euro di finanziamenti (il 2,85% del totale) e di questi appena 4,5 miliardi di euro (1,125% del totale) riguardano le pratiche più semplici che dovevano essere immediate: quelle sui prestiti inferiori a 25 mila euro con garanzia pubblica al 100%. Davanti a questi numeri e alla leggenda dei 55 miliardi di un secondo decreto che non è ancora manco publicato dopo una settimana, è di tutta evidenza che lo Stato proprio non c'è. E quel vuoto viene sempre riempito, tanto più se questa latitanza è di così lunga durata. Chi pensa che tanto fallirà perché nessun aiuto arriverà mai, vende a chiunque faccia una offerta anche non particolarmente generosa. E le mafie sono pronte a riciclare in questo modo una liquidità spaventosa che certo non manca loro. Se invece il commerciante o il piccolo imprenditore cerca ancora di stringere i denti e andare avanti, ma ha bisogno di soldi per farlo e lo Stato non c'è e non riesce a darglieli nei tempi necessari, ecco qui le finanziarie della mafia pronte a fornire prestiti che sanno benissimo non potranno quasi mai essere restituiti (non c'è bisogno manco di tassi usurari) e hanno in garanzia quelle aziende. Basta aspettare e interi settori dell’economia finiranno in mano alle mafie, con il concorso esterno della incapacità dell'attuale esecutivo, che è pienamente responsabile di quello che è accaduto (e per fortuna sventato) a Roma e sta accadendo in tutta Italia.